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«Untitled Film Still» (1978) di Cindy Sherman. © Cindy Sherman. Cortesia dell’artista e Hauser & Wirth

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«Untitled Film Still» (1978) di Cindy Sherman. © Cindy Sherman. Cortesia dell’artista e Hauser & Wirth

Il termometro del mercato: Cindy Sherman

Il suo lavoro è stato oggetto di numerose mostre e retrospettive in gallerie e musei di tutto il mondo. Tra le più importanti si annoverano quella di Amsterdam del 1982 e quella al Whitney del 1987

Alessia Zorloni, Erika Vistoli

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Il 29 luglio si è chiusa la prima grande mostra di Cindy Sherman (Glen Ridge, 1954) presso la galleria Hauser & Wirth di New York. È passato circa un anno da quando, in seguito all’annuncio della chiusura della leggendaria Metro Pictures, che ha promosso Cindy Sherman sin dal suo esordio, l’artista ha firmato con il colosso svizzero dell’arte contemporanea con sedi in tre continenti.

La mostra «Cindy Sherman. 1977-1982» presentava oltre un centinaio di opere tratte dalle prime, più innovative e influenti serie di Sherman. Per gli appassionati è l’occasione per vedere esposti insieme, per la prima volta dal 2012, tutti i 70 pezzi della serie «Untitled Film Stills» (1977-80).

Considerata una tra le artiste viventi più note al mondo, Cindy Sherman ha rivoluzionato il ruolo della fotografia nell’arte contemporanea. Fin dal 1977 la fotografa e regista americana ricostruisce nelle sue fotografie personaggi familiari, noti alla psiche collettiva.

Lo fa però in modo inquietante, esplorando anche gli aspetti più grotteschi del genere umano. Nei suoi scatti Sherman non è solo la fotografa, ma assume anche il ruolo di regista, costumista, truccatrice e attrice, interpretando sé stessa come protagonista di tableau fittizi riccamente allestiti. Lavora in completa solitudine all’interno del suo studio, «performando davanti alla fotocamera» come recita il titolo della mostra collettiva «Performing for the camera», tenutasi alla Tate Modern di Londra nel 2016. 

Ispirandosi al ruolo delle donne nei film e nella pubblicità, i suoi personaggi esplorano una serie di stereotipi femminili (dalla femme fatale alla ragazza in carriera, alla casalinga) con lo scopo di indagare l’identità femminile e la sua rappresentazione nei media in un modo fresco e attuale.

Insieme a Richard Prince e Robert Longo, si inserisce nel gruppo di artisti che, confrontandosi con il crescente peso della cultura mediatica, è passato alla storia come la Picture Generation, sorta a New York sul finire degli anni Settanta. Dal 2017, poi, l’arte di Sherman è approdata anche su Instagram.

Sulla piattaforma digitale l’artista carica ritratti di sé stessa con il volto alterato, in ambientazioni caleidoscopiche. Disorientanti e inquietanti, questi post evidenziano la natura dissociativa di Instagram trasmettendo all’osservatore quella percezione di sé fratturata, da sempre fulcro del suo lavoro.

La formazione artistica di Cindy Sherman si compie negli anni del college. Si laurea in pittura alla State University of New York di Buffalo ma abbandona quasi subito il medium pittorico per dedicarsi alla fotografia e trasferirsi a New York dove, in pochi anni, ottiene ampio riconoscimento.

Il suo lavoro è stato oggetto di numerose mostre e retrospettive in gallerie e musei di tutto il mondo. Tra le più importanti si annoverano la primissima retrospettiva dello Stedelijk Museum di Amsterdam del 1982 e quella al Whitney Museum of American Art del 1987.

Nel 2000 una grande mostra si è tenuta presso l’Mca di Chicago e successivamente al MoCA di Los Angeles. Più recentemente gli scatti di Sherman sono stati protagonisti di una retrospettiva organizzata nel 2020 dalla Fondation Louis Vuitton, che ha riunito 170 opere prodotte tra il 1975 e il 2020 ripercorrendo quasi cinquant’anni di carriera.

Cindy Sherman è una delle artiste più vendute di tutti i tempi ed è indubbiamente anche suo il merito di aver portato la fotografia a rivestire un ruolo così importante nel mercato dell’arte contemporanea.

Non è raro incontrare opere di Sherman durante le principali vendite serali di Sotheby’s, Christie’s o Phillips. Sono più di 2.300 le opere messe all’asta dal 1987 (anno della primissima apparizione sul mercato secondario), di cui 18 vendute sopra il milione di dollari. Quello di Cindy Sherman è un mercato molto robusto. Ne è un esempio il caso dell’iconica «Untitled #92», una fotografia del 1981 stampata in dieci esemplari.

Compare per la prima volta in un’asta pubblica nel 1992, quando la stampa 8/10 viene venduta da Christie’s a Londra per 16mila dollari. L’opera torna in asta nel 2000, quando la stampa 10/10 viene aggiudicata a 230mila dollari, con un aumento di quindici volte il valore iniziale. Nel 2007 è stata raggiunta una nuova soglia: l’edizione 8/10 è diventata la sesta fotografia più costosa al mondo, ottenendo 1.850.000 di dollari da Christie’s New York.

Sei anni dopo anche la stampa 9/10 raggiunge la soglia milionaria, venendo aggiudicata per 1,7 milioni. L’attuale top risale al 2014 e fa riferimento alla vendita di una raccolta di 21 stampe in bianco e nero, a tiratura limitata, della serie «Untitled Film Stills» del 1977, aggiudicata per 5,9 milioni di dollari da Christie’s a New York.

Negli ultimi anni i risultati delle aste pubbliche si sono ammorbiditi, arrivando al primato negativo di 1.032.095 di dollari nel 2020. Non si registrava un fatturato così basso dal 2002. Nonostante i numeri in calo sul mercato secondario, il lavoro di Sherman rimane comunque molto richiesto tra collezionisti e istituzioni. Questo spiega la velocità con la quale Hauser & Wirth ha firmato con l’artista una collaborazione all’indomani dell’annuncio della chiusura di Metro Pictures.
 

«Untitled Film Still» (1978) di Cindy Sherman. © Cindy Sherman. Cortesia dell’artista e Hauser & Wirth

Alessia Zorloni, Erika Vistoli, 12 agosto 2022 | © Riproduzione riservata

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