Stefano Miliani
Leggi i suoi articoliIl Castello Bufalini a San Giustino (Pg) è una poderosa architettura militaresca del Quattrocento ingentilita a villa di delizia nel Cinquecento che svela scorci sorprendenti e si è mantenuta straordinariamente integra nei secoli. Tuttavia il monumento nel borghetto umbro nell’Alta Valle del Tevere a ridosso della Toscana, ai piedi delle morbide colline umbre, non è molto conosciuto. Anche per questo la direttrice scientifica del castello, Veruska Picchiarelli, della Direzione regionale Musei Nazionali dell’Umbria, e l’istituto umbro diretto da Costantino D’Orazio, stanno portando avanti un complesso programma di restauri e rinnovamenti del sito. E non si parla di un semplice maquillage.
Il castello dispiega due possenti torrioni sulla facciata, una torre campanaria, un largo fossato, un arioso loggiato che, fino al 6 ottobre, ospita una mostra dell’artista Giuseppe Gallo inserita nel calendario estivo della Direzione regionale, «La sottile linea d’Umbria». D’intorno, entro le lunghe mura di cinta, il parco ha un frutteto e un roseto da poco ripristinati, un intimo giardino all’italiana in restauro con grotticina manierista e fontane; vanta, in particolare, un labirinto con siepi in bosso, riaperto di recente, e dov’è divertente smarrirsi fino a ritrovare l’unica uscita ovvero l’ingresso tra due cipressi piantati il 4 novembre 1694. Gli interni valgono una visita, tra mobili, suppellettili, dipinti, tutti dall’inventario della famiglia Bufalini. Le sorprese più liete le riservano le stanze con i vivaci affreschi di un artista poco rinomato, pur se amico di Giorgio Vasari con il quale collaborò, tal Cristofano (o Cristoforo) Gherardi detto il Doceno.
In settembre riapre, restaurata, la sala sui «Fatti romani» tratti da Tito Livio in cui il pittore, nato nel 1508 e morto nel 1556 nella vicina Sansepolcro, raffigurò con colori morbidi azioni concitate come la battaglia di Orazio Coclite contro gli Etruschi sul Ponte Sublicio. La sua pagina più riuscita è forse la stanza su Prometeo e, tra storie su dèi come Giove in amore o Apollo e il figlio Fetonte, è nelle raffinate grottesche che dimostra un’inventiva speciale. Magari era un tipo inconsueto se, come dicono, circolava con scarpe spaiate, ma non è rimasto in ombra per questo. «Bandito da Firenze perché sospettato di aver partecipato a una congiura contro i Medici, Cristofano Gherardi era indipendente di carattere e si ritirò a San Giustino. Il Vasari lo ritrasse come un suo semplice gregario, invece in otto ambienti qui ha dipinto capolavori rimasti ignoti ai più», rimarca con entusiasmo Veruska Picchiarelli.
In questo scenario il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze ha presentato in giugno, nel castello stesso, ricerche in grado di confermare una postilla di un documento dell’Archivio Bufalini che attendeva accertamenti: la fortezza è stata trasformata in residenza nobiliare dagli anni Trenta ai Cinquanta del Cinquecento da Nanni Unghero o Ungaro (1480 ca-1546) e dalla cerchia di Antonio da Sangallo il Giovane di cui l’architetto faceva parte. La postilla è nel fondo Bufalini rimasto tra queste mura perché la famiglia, con una continuità rara, ha mantenuto la proprietà da quando le fu assegnato il fortilizio nel 1487 fino alla vendita allo Stato nel 1989. A proposito: è il Ministero della Cultura a finanziare il corposo programma per complessivi 5 milioni di euro di cui 2,5 vengono dal Piano strategico Grandi progetti Beni culturali e 1,3 dal Pnrr nel quadro del cosiddetto «efficientamento energetico». Procedendo a tappe, i lavori dovranno terminare nel 2026.
Per rendere il castello e il giardino più accessibili anche a chi ha disabilità «svilupperemo un progetto multisensoriale, ma per il momento abbiamo realizzato pannelli in braille», specifica la direttrice e indica i due principi-guida del progetto: «Il primo risponde al recupero di tutti gli spazi da risistemare, come il parco, che è una meraviglia; recuperiamo anche le fontane, si sentirà l’acqua scorrere. L’altro principio è comunicare il fascino del castello in maniera più dinamica e coinvolgente; non deve sembrare un contenitore imbalsamato, va raccontata bene la sua storia frutto di stratificazioni». Perciò «adotteremo un nuovo allestimento e segnaletica progettati dallo studio milanese Migliore+Servetto, che ha tra l’altro riallestito il Museo Egizio di Torino». In che modo racconterete il castello? «Adotteremo un uso intelligente degli strumenti digitali. Per esempio, negli ambienti più significativi alcune “postazioni” rievocheranno come si viveva qui attraverso un uso moderato e suggestivo di sollecitazioni visive e un progetto illuminotecnico calibrato. Senza dimenticare un apparato di didattica e pannelli adeguati». Infine il Castello Bufalini aprirà una finestra sulla contemporaneità con un’installazione ora in lavorazione, visibile anche di notte, su un muro di cinta e commissionata al friulano Matteo Attruia (1973): «Con la scritta verso la città “Una storia (v)era” l’artista gioca con le parole e sul concetto di storia», rileva Veruska Picchiarelli, che lavora da tempo a questo progetto.
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