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Una piccola visitatrice guarda una scultura di Kwame Akoto-Bamfo nel National Memorial for Peace and Justice di Montgomery in Alabama

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Una piccola visitatrice guarda una scultura di Kwame Akoto-Bamfo nel National Memorial for Peace and Justice di Montgomery in Alabama

Il parco di sculture che comunica verità difficili a un’America divisa

L’Eji, ente per i diritti civili, vuole rendere memorabile la storia e l’eredità della schiavitù (10 milioni di neri) attraverso opere d’arte contemporanea e narrazioni in prima persona, in un momento storico in cui l’opinione pubblica americana è fortemente polarizzata

Julia Halperin

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Il Freedom Monument Sculpture Park di Montgomery in Alabama, aperto al pubblico dal 27 marzo, è più di una collezione di opere di artisti come Rashid Johnson, Kehinde Wiley, Alison Saar e Simone Leigh. È un luogo di oltre 68mila metri quadrati con un obiettivo ambizioso: onorare attraverso l’arte, le narrazioni in prima persona, i manufatti, la ricerca storica e i monumenti, le vite dei 10 milioni di neri che sono stati ridotti in schiavitù negli Stati Uniti, nel tentativo di cambiare il modo in cui gli americani pensano alla loro storia in un momento in cui potenti e facoltosi personaggi del Governo, dell’istruzione e del mondo delle imprese, si stanno unendo dietro le quinte per impedire che questo accada. Il governatore dell’Alabama ha firmato una legge che vieta il finanziamento statale dei programmi di diversità, equità e inclusione (Dei) nelle scuole e nelle agenzie statali. La legge vieta il finanziamento pubblico di qualsiasi programma che induca uno studente o un dipendente a riconoscere «un senso di colpa [o] di complicità ... sulla base della sua razza». È vietata anche la perpetuazione dell’idea che chiunque sia inconsciamente «razzista... o oppressivo» (...). Questi eventi mettono a nudo le forze opposte che agitano la cultura americana: da un lato, il desiderio di smantellare i vecchi sistemi costruiti per favorire pochi eletti («wokeness»); dall’altro, la convinzione che tutto ciò che non è lo status quo sia ingiusto e antiamericano («antiwokeness»).

Dal 2020, quando l’omicidio di George Floyd ha dato il via a un’ondata di razzismo sistemico, il movimento «antiwoke» ha lavorato per recuperare influenza. Dal 2023, secondo il «Chronicle of Higher Education», sono state presentate 80 proposte di legge contro la Dei e otto Stati le hanno firmate. Negli ultimi due anni la Dei nelle aziende americane è passata da parola d’ordine a «patata bollente», grazie a una raffica di cause legali, in cui si sostiene che i programmi progettati per sostenere donne e persone di colore sono discriminatori. Ma che cosa c’entra tutto questo con i musei? A fine marzo il National Museum of the American Latino della Smithsonian di Washington ha risolto una causa relativa al suo programma di stage, pensato per gli studenti latino-americani, accettando di prendere in considerazione candidati di tutte le razze. A differenza di questo museo, l’Equal Justice Initiative (Eji), organizzazione per i diritti civili che ha realizzato il parco di sculture da 15 milioni di dollari in Alabama, non è finanziata dal Governo federale e non riceve contributi statali, restando così al di fuori delle nuove norme anti-Dei. Ma poiché è esente da tasse, il che equivale a una sorta di sovvenzione da parte del Governo federale, alcuni leader culturali temono che possa essere in pericolo per l’attuale dibattito in corso. Glenn Lowry, direttore del MoMA, ha dichiarato di temere che «nel tentativo di punire le istituzioni, l’intero sistema possa essere scardinato». Ma come si deve bilanciare il desiderio di raccontare la storia in maniera più onesta con il timore che le iniziative di diversificazione del pubblico, dei programmi e del personale possano esporle a cause legali o ad altri tipi di controllo? Io, di certo, non posso risolvere la questione legale, anche se posso affermare che il lavoro dell’Eji rappresenta un modello per comunicare verità difficili in un modo non facile da respingere o fraintendere intenzionalmente. L’Eji ha iniziato nel 1989 fornendo assistenza legale gratuita ai detenuti nel braccio della morte e, nel 2018, ha aperto un memoriale e un museo a Montgomery con una triplice strategia: non impegnarsi alle condizioni degli altri, affidarsi a narrazioni in prima persona, utilizzare un linguaggio diretto e preciso.  

Il nome del Museo dell’Eji, Legacy Museum: From Enslavement to Mass Incarceration (Museo del Retaggio: dalla schiavitù all’incarcerazione di massa), propone fin dall’inizio una narrazione storica, senza mai perdere di vista il legame tra schiavitù e un sistema carcerario in cui le persone di colore hanno una probabilità quattro volte maggiore di essere incarcerate rispetto ai bianchi. Il National Memorial for Peace and Justice, invece, registra quelli che l’Eji definisce «linciaggi di terrorismo razziale», atti di terrorismo vero e proprio, anche se storicamente non descritti come tali (...). L’Eji non ripercorre tutta la storia degli Stati Uniti per capire dove il sistema educativo ha sbagliato, ma comincia dall’inizio e racconta una versione più vera della storia (il nuovo parco si apre con sculture di artisti nativi e informazioni sul popolo Maskoke, prima dell’arrivo degli europei). La drammatica narrazione della fuga dalla prigionia dello scrittore William Wells Brown nel Kentucky, avvenuta nel 1847, è illustrata da cartelloni distribuiti in tutto il parco. Tale approccio cancella la distanza che spesso creiamo tra noi e il passato, rendendo le informazioni più pesanti e più difficili da minimizzare. L’elemento fondamentale dell’approccio dell’Eji è che sarà familiare ai sostenitori delle arti di tutto il mondo: il potere di cambiare il paesaggio visivo degli Stati Uniti

Il Memoriale nazionale per la pace e la giustizia e il nuovo Monumento alla libertà, un libro aperto di 43 metri di altezza su cui sono incisi più di 122mila cognomi che i neri hanno scelto per sé stessi quando sono stati registrati per la prima volta come individui liberi nel censimento degli Stati Uniti del 1870, sono coinvolgenti e di dimensioni travolgenti. In altre parole, innegabili. «Gli americani credono nei memoriali, ma sembra che non credano nei memoriali che riflettono i nostri fallimenti, aveva dichiarato Stevenson ad «Artforum» nel 2018. Credo che in questo modo abbiamo creato degli spazi vuoti che ci rendono vulnerabili alla tolleranza del bigottismo. I monumenti hanno lo scopo di interrompere questi spazi vuoti». Il progresso sociale non è mai lineare. L’attuale ondata di cause legali contro l’Eji è, per molti aspetti, una scossa di assestamento delle cause per discriminazione sessuale e razziale che hanno innescato per la prima volta l’espansione dei sistemi di diversità aziendale alla fine degli anni ’90 e all’inizio del 2000. Quello che l’Eji ha compreso, e che altre organizzazioni culturali possono imparare da lei, è come avere una visione a lungo termine. I suoi monumenti dureranno più a lungo delle guerre culturali. Una storia vera, raccontata con rigore e coraggio, dall’inizio e dalla prospettiva di chi l’ha vissuta, ha un potere che può sopravvivere alla legge più reazionaria.

Julia Halperin, 17 agosto 2024 | © Riproduzione riservata

Il parco di sculture che comunica verità difficili a un’America divisa | Julia Halperin

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