Sarvy Geranpayeh
Leggi i suoi articoliL’Italia ha annunciato che sta valutando la ripresa dei suoi progetti a Bamiyan, in Afghanistan, bruscamente sospesi quando i talebani avevano preso il controllo del Paese nell’agosto 2021.
La decisione, che deve ancora essere approvata dal Governo italiano, è stata annunciata dal Ministero degli Esteri al termine di una conferenza tenutasi a Firenze l’11 novembre. La notizia è arrivata dopo che l’Unesco e altre organizzazioni hanno sottolineato l’importanza dell’assistenza umanitaria fornita attraverso i progetti culturali e la loro capacità di operare entro i limiti delle sanzioni imposte al Governo talebano.
«Avendo ricevuto rassicurazioni dall’Unesco che non si impegnerà in atti di riconoscimento delle nuove autorità de facto, l’Italia sta valutando di sostenere la prosecuzione dei due progetti Unesco in corso a Bamiyan», ha dichiarato a «The Art Newspaper» (testata internazionale «sorella» di «Il Giornale dell’Arte») Marco Ricci, rappresentante della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Nel 2003, il paesaggio culturale e i resti archeologici della Valle di Bamiyan sono stati inseriti dall’Unesco nella lista del Patrimonio mondiale in pericolo. Se il Governo italiano darà il suo assenso, i progetti da riattivare prevedono lo sviluppo di un parco archeologico in prossimità della nicchia del Buddha occidentale e lavori di conservazione e sviluppo delle infrastrutture a Shahr-e Gholghola, una cittadella fortificata (dal VI al X secolo) situata su una collina, uno degli otto siti registrati dall’Unesco a Bamiyan.
«Gli investimenti nel patrimonio culturale, anche in infrastrutture su piccola scala o nella riqualificazione di monumenti, possono generare un’occupazione significativa e contribuire al reddito familiare e ai mezzi di sostentamento delle persone sia nelle comunità rurali che in quelle urbane. Questo tipo di assistenza umanitaria, che sostiene il popolo afghano e il suo patrimonio, è fortemente sostenuta dall’Unesco», ha dichiarato Brendan Cassar, responsabile dell’Unità Cultura dell’Unesco per l’Afghanistan: «Un investimento nel passato in questo senso è un investimento nel futuro».
I progetti, del valore di oltre 5 milioni di dollari, non solo tuteleranno i siti del patrimonio culturale, ma genereranno posti di lavoro per la gente del posto e contribuiranno a migliorare in modo sicuro il turismo, in un momento in cui l’Afghanistan sta vivendo una delle peggiori crisi umanitarie del mondo. In marzo le Nazioni Unite hanno lanciato l’allarme: 23 milioni di persone, oltre la metà della popolazione, soffrono di malnutrizione acuta.
«Spero vivamente che si riesca a creare un gruppo di esperti internazionali che possa orientare le autorità locali in modo da evitare almeno interventi distruttivi e irreversibili», ha dichiarato Mirella Loda, coordinatrice del progetto del Piano regolatore strategico di Bamiyan e una delle organizzatrici della conferenza dell’Università di Firenze.
Patrimonio fragile, politica delicata
Durante i due giorni dell’evento, Cultural Heritage in Fragile Context, organizzato dall’Università di Firenze e dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS), gli esperti provenienti da tutto il mondo si sono concentrati principalmente sullo scambio di idee per affrontare le sfide emerse nella salvaguardia dei siti del patrimonio culturale dell’Afghanistan a causa della particolare situazione politica del Paese.
L’Aga Khan Trust for Culture (AKTC) ha presentato un’accorata richiesta di reinserimento nei programmi di tutela del patrimonio culturale interrotti nel Paese, illustrando il costo umanitario dei progetti cancellati, che hanno comportato la perdita di posti di lavoro per coloro che hanno acquisito competenze preziose.
L’Unesco ha confermato che continua a operare in Afghanistan, ma può farlo solo entro i limiti del Transitional Engagement Framework (TEF), un documento di pianificazione globale per l’assistenza del sistema delle Nazioni Unite nel 2022. Il piano dà priorità all’assistenza umanitaria e fa riferimento al sostegno alla conservazione dei siti culturali, ma limita l’impegno e gli atti di riconoscimento dell’attuale governo. Ciò significa che l’organizzazione non può partecipare alla transizione dei beni alle autorità o fornire assistenza tecnica, il che esclude i progetti che coinvolgono entità di proprietà del governo, come il Museo nazionale dell’Afghanistan.
«L’assistenza tecnica è una questione difficile. Che cos’è l’assistenza tecnica? Il punto relativo al quadro di impegno con le autorità de facto e il sentimento generale della comunità internazionale non sono molto chiari», ha detto Cassar.
Tuttavia, Cassar ha sottolineato che la mancanza di scambi tecnici non mette in pericolo siti come Bamiyan e che, sebbene la situazione non sia ottimale, le limitazioni non impediscono all’organizzazione di lavorare efficacemente nel Paese.
Prima della conferenza, un alto funzionario talebano di Bamiyan ha dichiarato a The Art Newspaper che Shahr-e Gholghola aveva bisogno di urgenti lavori di conservazione per i quali non possedeva i fondi o le competenze necessarie. «Se non si effettuano lavori di conservazione a Shahr-e Gholghola entro un anno, l’intero sito può essere colpito e distrutto. I problemi diventeranno molto più grandi», ha avvertito Mawlawi Saifurrahman Mohammadi, direttore del ministero dell’Informazione e della Cultura della provincia di Bamiyan.
Cassar ha riconosciuto che l’Unesco ha ricevuto richieste dal governo talebano per intraprendere lavori di conservazione di siti preislamici e islamici. Ha anche ammesso che la rapidità con cui le autorità afghane hanno risposto ad alcune delle preoccupazioni dell’Unesco è stata positiva, come l’interruzione dei lavori di costruzione di fronte alle nicchie del Buddha a Bamiyan per far rivivere un antico bazar nel giro di poche ore, ma non ha voluto riconoscere che esiste una politica ufficiale del nuovo governo per investire e proteggere il patrimonio.
«Non posso dire quale sia il loro atteggiamento e non posso dire quali siano le politiche del governo de facto in materia di patrimonio. Non ho visto una dichiarazione in merito di recente. Quello che posso dire è che, in base alle richieste (che coprono una serie di periodi storici, islamici e pre-islamici) che sono arrivate al nostro ufficio e all’Unesco in generale - che si tratta di fare indagini archeologiche, cercare di proteggere i siti dal traffico illecito, cercare di restaurare i monumenti in varie province, comprese le proprietà del patrimonio mondiale - [...] c’è un sostegno per questo all’interno del governo de facto», ha detto Cassar.
Un altro progetto che è stato sospeso a Bamiyan dopo il cambio di governo è un progetto finanziato dal Giappone per stabilizzare la nicchia del Buddha occidentale, che rischia di crollare a causa di enormi crepe nella scogliera. La nicchia ospitava una statua del Buddha del VII secolo, alta 55 metri, prima di essere distrutta dai talebani nel 2001. Cassar ha detto al pubblico della conferenza che le discussioni per rilanciare il progetto sono in corso.
L’Unesco sta attualmente gestendo tra i 12 e i 14 progetti in Afghanistan, impiega indirettamente tra le 160 e le 250 persone nei progetti e il suo ufficio impiega direttamente 50 persone, 42 delle quali sono afghane.
Alla conferenza ha partecipato un’ampia gamma di esperti, tra cui, ma non solo, l’Aga Khan Trust for Culture, l’Università di Teikyo, il Consiglio internazionale per i monumenti e i siti (ICOMOS), l’Autorità per la città murata di Lahore, il Centro internazionale per lo studio della conservazione e del restauro dei beni culturali (ICCROM) e l’Alleanza internazionale per la protezione del patrimonio nelle aree di conflitto (Aliph).
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