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Julius von Schlosser Magnino

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Julius von Schlosser Magnino

Il mestiere di storico dell’arte: non c’è ancora un albo dei conservatori (o curatori)

Note strinate • Dissonanze percepite dallo storico dell’arte musicologo Claudio Strinati

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Claudio Strinati

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Cent’anni fa (1924) uscì a Vienna Die Kunstliteratur di Julius von Schlosser Magnino, anniversario importante e ancora oggi significativo per la disciplina storico-artistica. Schlosser legge e commenta le fonti, manoscritte ed edite, della storia dell’arte nel corso dei secoli per definirne caratteri, confini e limiti. In italiano il libro uscirà poi col titolo La letteratura artistica per la collana «Il pensiero storico» de La Nuova Italia di Firenze. Se ne parlò come di un autore austriaco profondamente influenzato da Benedetto Croce, specie nell’istanza dichiarata di un definitivo superamento dell’impostazione positivista, equivoco che ha pesato e continua a pesare ancora oggi. Vale, però, la pena di leggere quel vasto trattato per comprendere difficoltà e disagi di chi esercitava ed esercita la storia delle arti figurative. Nel capitolo dedicato a Giorgio Vasari, di notevole validità esegetica, Schlosser annota: «Di tutte le scienze storiche la storia dell’arte è rimasta più a lungo in uno stato di infanzia; il concetto della relativa distanza delle fonti è ancora così poco familiare come al tempo dello stesso Vasari». È interessante valutare questa e molte altre analoghe considerazioni contenute in quel libro scrutando avanti e indietro nel tempo e restando nella logica del centenario. 

Nel 1823 esce in sei volumi (ma in parte pubblicati a puntate negli anni precedenti) L’Histoire de l’Art par les monuments di Jean Baptiste Seroux d’Agincourt, un dotto francese (1730-1814) morto a Roma, di grande esperienza, passione e dottrina la cui mentalità risentiva ancora della filologia appassionata di un Ludovico Antonio Muratori e soprattutto di Girolamo Tiraboschi, autore dell’esemplare Storia della Letteratura italiana (gremita di storia dell’arte) pubblicata in 13 volumi entro il 1782, raccogliendo gli auspici dei più grandi dotti d’Europa attivi tra il XVII e il XVIII secolo, primo fra tutti quel genio assoluto di Gottfried Wilhelm von Leibniz, per lo stabile e definitivo inserimento della storia dell’arte tra le discipline passibili di ordinamento enciclopedico e quindi di alta qualificazione culturale, insieme speculativa e operativa. 

Nel 2021 lo Stato italiano rinomina «Ministero della Cultura» quel Ministero nato negli anni ’70 del Novecento come organismo di tutela per i cosiddetti Beni Culturali nel cui ambito la storia dell’arte risultava disciplina tecnica di peculiare rilevanza. Già da molti decenni la figura professionale dello storico dell’arte appariva però affievolita nella sua specificità e conseguente dignità professionale, come forse già temuto da un maestro come lo Schlosser, cosa che appare adesso sempre più chiara. Il fatto è che la dicitura stessa di storico dell’arte è sempre sembrata respingere in re ipsa la possibilità di un inquadramento da albo professionale, restando incerti i ruoli e le competenze.

C’è, forse, una questione nominalistica subliminale. È automatico pensare alla professione quando la parola che definisce il professionista è una. Archeologo è un professionista. Architetto altrettanto, se non più. Storico dell’arte no. Sembra definire un colto dilettante, un esteta, non un lavoratore. Occorrerebbe istituire un albo che non si chiami però degli storici dell’arte ma dei conservatori (nelle due grandi categorie museali e territoriali). Conservatori o anche curatori, che è termine più di moda ma non cambia la sostanza. Sempre storici dell’arte sono o dovrebbero essere.

Ma definiti da una parola sola. E se poi nella definizione dei compiti e delle competenze si volesse mettere dentro il magico termine «valorizzazione», funzionerebbe lo stesso. Se la nuova titolazione alla francese di Ministero della Cultura possa giovare a questa svolta nella storia della nostra professionalità, non saprei. Anzi esprimo un certo scetticismo. Un gran peccato, me lo si lasci dire!

Claudio Strinati, 31 ottobre 2024 | © Riproduzione riservata

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