Bruno Muheim
Leggi i suoi articoliIl 2021 vedrà molti drastici sconvolgimenti, ma potrebbe essere un anno abbastanza simile al 2020. Anzitutto gli effetti perversi della pandemia di Covid-19 dureranno sicuramente almeno fino a luglio 2021. I due grandi fattori negativi saranno l’emergenza sanitaria e la Brexit. Iniziamo con un’analisi geografica del mercato dell’arte.
Quale sarà il vero impatto della Brexit?
Londra sarà certamente la città che subirà le peggiori conseguenze di questi due fenomeni. Il Regno Unito è uno dei Paesi più colpiti dal Covid-19 e, malgrado una dinamica campagna di vaccinazione, l’immunità di gregge sembra impossibile prima del 2022. A causa della Brexit la situazione di Londra è altamente pericolosa. Non dimentichiamo che per tutta la seconda metà del XX secolo è stata la capitale del mercato dell’arte e che solo da vent’anni New York, Parigi e Hong Kong l’hanno superata.
La Brexit sarà un dramma per Londra; nonostante un accordo generale sia stato firmato alla fine del 2020, saranno necessari quasi dieci anni per sciogliere i nodi in ciascuno dei campi d’applicazione e l’elitario mercato dell’arte non è una priorità del Governo populista di Johnson. Che tipo di Iva sarà applicata? Per quanto tempo saranno doganalmente o fiscalmente possibili le importazioni temporanee? Che ne sarà del diritto di seguito? Tutte queste domande sono in sospeso e qualsiasi mercato ha bisogno di una sola cosa: certezze.
Ma Londra potrebbe avere anche uno sviluppo estremamente forte, essendo chiara la volontà inglese di fare del Regno Unito un gigantesco freeport per qualsiasi attività sia di capitali sia di merce. Le regole coercitive dell’Unione Europea per controllare l’origine geografica delle opere d’arte e il loro finanziamento ha fortemente ridotto il traffico d’opere d’arte. Alcune recenti dichiarazioni di fonti vicine al Governo britannico fanno pensare a un approccio molto più permissivo.
L’Unesco avrà un ruolo fondamentale per fare rispettare al Regno Unito accordi già siglati al di fuori dell’Ue. Ogni merce di qualsiasi valore dovrà essere dichiarata sia se portata a mano sia se affidata a un trasportatore. Questo affosserà ulteriormente il già debole mercato delle arti decorative e l’oggettistica minore, senza dimenticare che una dichiarazione era già obbligatoria per tutti i beni oltre le 65mila sterline e, per i dipinti, oltre le 180mila sterline. Londra sarà un enorme punto interrogativo per tutto il 2021.
Quali chances ha Parigi di tornare a essere capitale del mercato?
Parigi ha un’eccezionale opportunità da giocare. Il gigantesco mercato finanziario della City londinese allegramente sacrificato da Johnson sull’altare della Brexit sta traslocando a Francoforte, Amsterdam, Bruxelles e Parigi. Per il mercato dell’arte Parigi è la destinazione più ovvia, disponendo di una forte base costituita dalle case d’asta: Drouot, Sotheby’s e Christie’s sono fortemente radicate nella capitale francese. Tutte le grandi gallerie d’arte contemporanea hanno spostato da Londra a Parigi la loro nave ammiraglia in Europa.
Sotheby’s ha appena acquisito un ampio palazzo nell’attesa dello fortissimo sviluppo della loro sede parigina. Ma Parigi è anche la città ferita da cinque anni di terrorismo, gilets jaunes, manifestazioni contro le riforme del sistema pensionistico e, si sa, il mercato dell’arte è tradizionalmente un po’ codardo. Hong Kong, descritta in questi ultimi anni come la città del futuro per il mercato dell’arte, nel 2021 rischia di affondare completamente. L’attuale incertezza politica gioca contro il futuro della città. Difficilmente il ritorno dell’ex colonia britannica nelle mani di Pechino inciderà in maniera considerevole sul mercato dell’arte che, per usare un eufemismo, è sempre stato apolitico, ma a spaventare i compratori sono i movimenti di contestazione e in questo senso il futuro di Hong Kong è buio.
Sarà importante capire se Pechino e Shanghai sapranno recuperare i fasti di Hong Kong; forse per una clientela cinese «main land» ma non per tutto il Sudest asiatico. Singapore potrebbe giocare una carta importante. Gli Stati Uniti hanno tre belle opportunità. Anche loro hanno recuperato un po’ grazie alla Brexit. L’arrivo di Biden come presidente è una bella iniezione di ottimismo dopo gli anni di Trump. Gli effetti del lockdown sono stati tremendi per la città di New York e tante gallerie hanno aperto sedi fuori dalle città, principalmente negli Hamptons, per mantenere contatti con i loro clienti. Sembra che sempre più persone, dopo un anno di lockdown, non vogliano più sentir parlare di megalopoli e preferiscano aree residenziali lontane dai grandi centri. Come se i Parioli si trasferissero a Capalbio.
L’Italia, in virtù della sua identità atipica, dovrebbe superare abbastanza bene il 2021, considerando ovviamente quelli che sopravviveranno al 2020. La grande novità geografica del 2021 potrebbe essere l’Africa. Adesso il massimo della moda, e non si può usare altra parola trattandosi di un fenomeno di marketing, sono gli artisti di colore. Una parte di questo boom si deve al movimento Black Lives Matter. C’è da dire che gli artisti africani sono sicuramente quelli che da qualche anno offrono le proposte più interessanti. Il loro posizionamento nel mercato e nei musei era fortemente sottovalutato, ma adesso galleristi e collezionisti fanno a gara per accaparrarsi loro opere con una logica platealmente di mercato. Meritano di meglio.
Quale sarà nel 2021 il contrattacco dei leader del mercato?
Le case d’asta hanno annunciato per il 2020 risultati meno negativi del previsto. Non dimentichiamo che Christie’s e Sotheby’s sono single owner companies, dunque non sono obbligate a presentare conti precisi al di fuori della presentazione del bilancio in primavera. Il punto fondamentale per il mercato dell’arte è che non ha subito nessuno crollo; certo, alcuni settori sono defunti, ma quelli rimasti hanno trovato acquirenti a prezzi validi. È ipotizzabile che nel 2021 ci sarà uno spostamento di opere d’arte importanti la cui vendita era stata congelata dai loro proprietari in attesa di tempi migliori.
Si dice che molti musei soprattutto americani saranno obbligati a vendere alcune opere per compensare la mancanza di introiti a causa del lockdown. Ma chi può preferirà attendere il 2022. Dunque il 2021 non sarà un anno di fortissima ripresa e per il momento non è stata annunciata nessuna vendita miliardaria. Certo le aste di minore importanza saranno rigorosamente online, i cataloghi stampati saranno un lontano ricordo e l’annullamento dei grandi ricevimenti delle case d’asta una fonte importante di risparmio!
Le gallerie si prenderanno la rivincita sulle aste?
Le vendite private saranno sviluppate con una maggiore attenzione, ma anche con un nuovo tipo di concorrenza da parte delle gallerie. Questo detto, vedremo per quanto tempo ancora i compratori accetteranno di pagare le commissioni d’acquisto alle percentuali odierne e vorranno anche essi contribuire a questi nuovi risparmi con una riduzione della loro commissione. Infine occorre ribadire la differenza tra cataloghi online e vendite senza pubblico rispetto a offerte ricevute online da un vero battitore. Le prime saranno sempre più presenti, le altre dureranno fino alla fine della pandemia, per poi tornare alla vita normale delle aste importanti con un pubblico in sala.
Il mondo delle gallerie è il segmento del mercato dell’arte che si sta maggiormente disgregrando come modello unico di attività commerciale. Molto probabilmente il 2021 vedrà la chiusura di un grande numero di gallerie. Di certo sopravviveranno i colossi dell’arte contemporanea, dell’arte cinese, il design, la fotografia, le arti etnografiche e, stranamente, le piccole gallerie con poche spese di personale, di affitto, ma con contatti stretti con i loro collezionisti. Ci sono intanto due iniziative assai interessanti: la prima, diffusa soprattutto negli Stati Uniti, è il connubio tra il settore immobiliare e alcune gallerie che aprono showroom temporanei in alcuni immobili in vendita.
L’agente immobiliare può abbellire il suo bene in vendita con splendide opere d’arte, il gallerista può raggiungere nuovi clienti al di fuori della sua sede e il cliente può valutare l’impatto dell’opera in una casa. Un’iniziativa da seguire da vicino è quella del gallerista parigino Emmanuel Perrotin, il terzo componente del trio d’eccellenza con Gagosian e Zwirner. Perrotin ha già dieci gallerie nel mondo. L’undicesima tuttavia non proporrà opere di artisti presentate direttamente dal loro studio alla galleria, ma sarà dedicata a opere d’arte contemporanee già vendute precedentemente, il cosiddetto secondo mercato. Lo scopo è chiaramente competere con le vendite private delle case d’asta.
È evidente che queste ultime, insistendo sulle vendite private, si sono messe in concorrenza diretta con le gallerie. Però mi sembra che oggi per alcune persone, accanitamente alla ricerca di un riconoscimento sociale, sia più gratificante comprare da Gagosian e Perrotin ed essere invitati ai loro party piuttoste che dai signori Drahi e Pinault, proprietari rispettivamente di Sotheby’s e Christie’s. Molte nuove iniziative dunque ma, essendo spesso non complementari ma bensì antitetiche, potremmo concludere con il classico nulla di nuovo all’orizzonte.
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