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Illustrazione di Katherine Hardy

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Il lato oscuro del mercato dell’arte

Gli atti giudiziari riferiti alla lunga e intricata vicenda della truffa del mercante Inigo Philbrick rivelano che la parte più opaca del mercato dell’arte con l’allettante stile di vita che promette continuerà a travolgere chi sarà pronto a scommetterci

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Georgina Adam

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Il fallimento di Inigo Philbrick produce nuove conseguenze. L’ultima notizia è che Robert Newland, un tempo socio e consulente d’affari di Inigo Philbrick, si è dichiarato colpevole in un tribunale di Manhattan di aver cospirato con lui per frodare gli investitori. Il giudice non ha ancora deciso la durata della pena, ma potrebbe rischiare una tremenda condanna a 20 anni di carcere.

Come è potuto accadere tutto questo? I documenti del tribunale rivelano ciò che le vittime sanno già fin troppo bene: Philbrick ha venduto ai suoi clienti quote multiple di opere d’arte, ha inventato falsi acquirenti, ha falsificato documenti e ha ingannato Athena Art Finance, società finanziaria attiva nel settore dei prestiti garantiti da opere d’arte, facendole prestare più di 13 milioni di dollari, mai restituiti. Questa somma era garantita da un gruppo di opere d’arte a rotazione, detenute da una società con sede nel Jersey da lui creata.

Lo scandalo rivela le fragilità del mercato dell’arte: la sua opacità, gli affari fatti sulla fiducia e, a volte, la mancanza di due diligence». Per esempio, Athena ha inizialmente messo in dubbio la provenienza dell’opera «Humidity» di Jean-Michel Basquiat del 1982, che Philbrick voleva aggiungere al gruppo di opere. Ma quando è stato spiegato che Philbrick ne era il proprietario (il che si è rivelato inesatto, in quanto aveva venduto quote ad altre persone), Athena ha proceduto ad accettare la tela, lasciando che Philbrick potesse prendere in prestito milioni di dollari dall’azienda.

Ma cosa ha scoperto facilmente l’Fbi? Che il presunto venditore del dipinto da 18 milioni di dollari (una «società della Pennsylvania») non aveva mai sentito parlare di Basquiat e non aveva mai venduto opere d’arte. Un semplice controllo avrebbe messo in guardia il creditore all’inizio di tutta la vicenda e avrebbe evitato l’attuale battaglia legale sulla proprietà?

C’è anche un’intricata causa per l’opera «Infinity Mirror Room di Yayoi Kusama del 2016, attualmente in deposito in Florida dopo che una società di investimento tedesca, Fine ArtPartners, ha rivendicato il diritto di proprietà, avendo scoperto di non essere l’unica potenziale proprietaria: anche un’entità saudita chiamata MCVA la reclama. Non fatevi illusioni che la questione si possa risolvere facilmente.

Quindi di chi o di che cosa è la colpa? «Qualsiasi truffa richiede un certo livello di fiducia», afferma Judd Grossman, avvocato che rappresenta una delle parti in causa nel caso Basquiat. Sembra che la maggior parte degli attori di questa triste storia fosse fin troppo disposta a fidarsi di Philbrick, grazie ai suoi modi gentili, al suo ambiente di provenienza e alla sua formazione, al suo stile di vita altolocato (pare che abbia speso veramente gran parte dei suoi guadagni illeciti in aerei privati) e alla sua impressionante rubrica di indirizzi.

Si ripeterà qualcosa di simile o ci troviamo di fronte a un mercato dell’arte più cauto, castigato da questa vicenda? Purtroppo, parrebbe proprio che il mercato non sia cambiato. Molteplici altri casi di truffa nel mondo dell’arte, il più recente è il fiasco di Anna Delvey/Sorokin, dimostrano che l’audacia di alcuni attori, l’opacità del mercato dell’arte e la forte attrattiva dello stile di vita che promette continueranno a travolgere chi sarà pronto a scommetterci.

Ma si spera che la storia di Philbrick possa convincere qualcuno in più ad aumentare la propria «due diligence», a esaminare con più attenzione i documenti, ad assicurarsi che ci siano contratti e registri adeguati e a farsi influenzare meno dall’aspetto e dai modi di fare vincenti o, nel caso di Philbrick, perdenti.

La società Athena ha inviato la seguente precisazione a «The Art Newspaper» in seguito alla pubblicazione di questo articolo. «Athena è un finanziatore istituzionale altamente disciplinato che ha condotto un’approfondita due diligence. Athena non ha accettato la provenienza di alcuna opera d’arte basandosi solo sulla parola di Philbrick, né un "semplice controllo" di una società (fittizia) della Pennsylvania avrebbe "rivelato" alcunché, perché Philbrick non ha acquistato da una società della Pennsylvania. Né Philbrick ha presentato ad Athena una fattura falsa. Piuttosto, nel suo iter di verifiche, Athena ha ricevuto la vera fattura e la prova che "Humidity" era un’opera acquistata dalla casa d’aste Phillips per 12,5 milioni di dollari dalla società di Inigo Philbrick, con i fondi di Philbrick, provenienti dal conto di Philbrick. Inoltre, Athena ha avuto la custodia e il controllo esclusivi di Humidity dal giorno in cui ha effettuato il prestito».

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Georgina Adam, 28 ottobre 2022 | © Riproduzione riservata

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