Hadani Ditmars
Leggi i suoi articoliL’antica città di Zakhiku, a 30 km da Dohuk, ha vissuto le devastazioni di un terremoto, della conquista assira, nonché l’allagamento dovuto alla creazione della diga di Mosul costruita da Saddam Hussein nel 1980. Mentre altri siti del patrimonio culturale, come Ashur, rischiano l’imminente distruzione a causa della costruzione di un’ulteriore diga da parte dell’attuale governo iracheno, il ritirarsi delle acque del Tigri ha di fatto svelato l’antica città di Zakhiku. Una vera e propria manna per l’archeologia.
Secondo Hasan Ahmed Qasim, presidente dell’Organizzazione Archeologica del Kurdistan, attivo sul sito per un decennio, dal 1980 la città è riapparsa periodicamente a novembre, con l’abbassamento del livello idrico dopo le lunghe estati irachene. Quest’anno la città è rimasta al di sopra dell’acqua per tutti i mesi di gennaio e febbraio, a motivo della «siccità nel sud dell’Iraq che ha portato a prelevare dal bacino quantità d’acqua senza precedenti per impedire l’essiccazione delle colture».
Se da un lato questo fenomeno sottolinea le sfide che l’Iraq sta affrontando con i cambiamenti climatici, dall’altro ha fornito un’opportunità unica per scavare e documentare ulteriormente la città del regno dei Mitanni, un tempo ancorata sulle rive del fiume Tigri e non da lui sommersa.
Su impulso dell’importante lavoro di ricerca svolto da Qasim nel 2018 (anno dell’ultima apparizione dell’agglomerato urbano) si è deciso di formare un team di archeologi tedeschi quali Ivana Puljiz (Università di Friburgo) e Peter Pfälzner (Università di Tubinga) in collaborazione con la Direzione delle Antichità e del Patrimonio di Duhok (regione del Kurdistan in Iraq) e con il finanziamento della Fondazione Fritz Thyssen.
In tempi così ristretti bisognava scavare il più possibile: partendo dagli interventi di Qasim su un palazzo del sito, la squadra è riuscita a mappare gran parte della città antica nonché a scoprire una massiccia fortificazione con mura e torri, un monumentale edificio di stoccaggio a più piani e un complesso industriale. Secondo gli archeologi, l’esteso complesso urbano risale all’epoca del regno dei Mitanni ampliatosi tra il 1550 e il 1350 a.C. verso ampie zone della Mesopotamia settentrionale e della Siria.
«È quasi un miracolo che le tavolette di argilla in lingua cuneiforme siano sopravvissute per così tanti decenni sott’acqua», afferma Pfälzner. Il regno dei Mitanni «è uno degli imperi meno conosciuti dell’antico Vicino Oriente», il che rende la scoperta ancora più sorprendente. I recenti lavori di scavo hanno rivelato informazioni sull’organizzazione e l’amministrazione dell’impero, animato da piccole unità regionali piuttosto che da un controllo centrale. Secondo Qasim gli scavi hanno fornito dati cruciali sia sulla lingua hurriana, di matrice indoeuropea e antenata del moderno curdo, sia sulla conquista assira ottenuta, secondo i resoconti cuneiformi, grazie ad armi più performanti.
Dalla conquista in età del bronzo del regno dei Mitanni da parte degli Assiri, alle più moderne battaglie tra i peshmerga curdi e le forze di Saddam Hussein, come spesso accade in Iraq il divario tra passato e presente è facile da colmare. Il motivo per cui sono stati fatti così pochi scavi nelle regioni curde dell’Iraq, dice Qasim, non è solo la mancanza di risorse accademiche e archeologiche durante il XX e il XXI secolo ma soprattutto «l’indifferenza che le autorità irachene hanno riservato ai siti nelle aree curde per ragioni politiche».
L’inondazione dovuta alla costruzione della diga nel 1980 decisa dal regime di Hussein ha comportato la distruzione del villaggio costruito sulle elevazioni di Zakhiku e lo sfollamento di circa quaranta famiglie in un’area poco distante. Oggi il nuovo paese di Kemune, costruito dagli sfollati locali i cui antenati si sono tramandati storie e leggende sull’antica città, ospita circa diecimila persone.
Zakhiku non è un caso unico nel Kurdistan iracheno: secondo Qasim «ci sono più di cento siti subacquei nell’area del Tigri orientale». Alla luce del potenziale attestato nel sito, aumenta di gran lunga la probabilità di farvi «eclatanti scoperte archeologiche». Molti dei tesori ricavati sono stati puliti, catalogati e oggi conservati al Museo di Duhok, benché sia necessaria un’ulteriore raccolta fondi per avanzare nell’opera di documentazione. Sulla fattibilità di una mostra in tempi brevi Qasim avverte che bisognerà attendere il resoconto documentario completo degli scavi, un compito che potrebbe richiedere decenni.
Nel frattempo si attende la prossima apparizione in superficie della città, nuovamente sommersa dopo esser stata ricoperta di plastica e ghiaia con una sovvenzione a fini conservativi della Fondazione Gerda Henkel. Il cambiamento climatico riporterà Zakhiku a galla in tempi brevi, lasciandovela molto più a lungo del previsto.
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