Giorgio Bonsanti
Leggi i suoi articoliIl 23 giugno 2023 veniva inaugurato e aperto al pubblico il Museo della Natura e dell’Uomo di Padova: dieci anni per prepararlo, tre per realizzarlo. Un investimento di 30 milioni di euro, ma in realtà molto di più, perché il calcolo non comprende le infinite ore di lavoro dedicate alla sua realizzazione dal personale interno dell’Università di Padova. Si articola in quattro sezioni, valorizzate dal bell’allestimento dello studio fiorentino Guicciardini & Magni: mineralogia, geologia e paleontologia, zoologia e antropologia. È, dunque, un museo che definiremmo demoetnoantropologico: con i suoi 4mila metri quadrati probabilmente il più grande di Europa (anche se in altre città le sezioni si frazionano e distribuiscono in sedi diverse).
È dunque il luogo più adatto per prospettare a un pubblico generalmente ignaro la straordinaria abbondanza delle raccolte di tale natura appartenenti alle Università italiane; un patrimonio smisurato che costituisce una delle maggiori ricchezze del nostro Paese. Testimone autorevole delle culture dei popoli attraverso i secoli, il museo può giovarsi della possibilità di istituire per gli oggetti esposti collegamenti e raffronti storici emozionanti. L’Università di Padova, nata nel 1222, permette di conoscere l’astronomia dei pianeti all’interno del museo e di trovare nel vicino Palazzo del Bo la cattedra lignea da cui impartiva lezioni Galileo. Il compleanno è stato appropriatamente festeggiato con il convegno «Fare un museo. Buone pratiche per il restauro del patrimonio al Museo della Natura e dell’Uomo», tre giorni (17-19 giugno) presso il Dipartimento di Geoscienze.
È stata un’occasione interessante e piacevole che ha presentato un’ampia casistica di interventi conservativi su materiali infrequenti. Poteva trattarsi di bambole o di armature giapponesi, ricchissime di materiali diversi e insoliti, e gratificava vedere con quanta familiarità i restauratori si muovessero anche fra le nomenclature precisissime di ogni componente di abbigliamento esotico (civile o bellico). Molti dei materiali, in questi casi, non erano estranei alla nostra cultura; ma certamente lo era l’oggetto che avevano contribuito a realizzare e questa è una situazione che sulla conduzione del restauro ha certamente la sua influenza. In altri casi, si trattava invece di materiali sicuramente poco presenti nelle casistiche e nelle bibliografie dei restauri e perciò le problematiche conservative ne risultavano particolarmente stimolanti.
Nei campioni mineralogici, ad esempio, abbiamo imparato che scopo della «Preparation» è migliorare ma non modificare e gli interventi si distingueranno in pratiche fondamentali (necessarie per la conservazione, che possono anche prevedere una distruzione di parte della matrice) e complementari. E qualcuno si è domandato se nel restauro dei campioni mineralogici siano concettualmente compatibili preoccupazioni dichiaratamente di carattere estetico, per diminuire l’impatto visivo di parti non originali che troppo contrastino a quel riguardo. Ma forse è soprattutto una questione di terminologia. Ciò che conta è mantenere la discriminazione fra le parti originali e quelle aggiunte. Lo spazio non consente di riferire più dettagliatamente e attendiamo gli atti promessi; menzionerò soltanto il contributo di Salvatore Restivo sui reperti zoologici conservati in liquido e i supporti per le armature giapponesi studiati negli anni da Alessandro Ervas, fino a raggiungere risultati di straordinaria praticità.
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