«Immaginate un Bargello della porcellana. Ecco: quello è il Museo Ginori». Nella sua veste di presidente della Fondazione Museo Archivio Richard-Ginori della Manifattura di Doccia, Tomaso Montanari ha concluso così la presentazione del sito, ricchissimo, del Museo Ginori (museoginori.org), oggi l’unica chiave, essendo il museo reale ancora «in eclissi: c’è ma è nascosto», per accedere ai tesori artistici e documentali conservati in questa istituzione (fra i primi musei d’impresa in Europa) voluta dal marchese Carlo Ginori contestualmente alla manifattura di porcellane da lui fondata nel 1737 a Doccia, oggi nel Comune di Sesto Fiorentino.
«Non aspettatevi le tazzine della bisnonna messe in vetrina», avverte Montanari. Qui infatti, fra le 10mila opere (ora tutte al sicuro in un deposito, finché i lavori di ristrutturazione della sede non saranno terminati) catalogate sotto la guida delle conservatrici Oliva Rucellai e Rita Balleri, oltre alle celebri ceramiche per la tavola, che producevano la parte più cospicua del fatturato, ci s’imbatte infatti in sculture di porcellana, testimoni del gusto antiquario del marchese Ginori (dalla riproduzione dei marmi classici della «Venere de’ Medici» e di «Amore e Psiche» degli Uffizi alle reinterpretazioni di opere di scultori fiorentini tardo-barocchi, come Massimiliano Soldani Benzi, G.B. Foggini, Giuseppe Piamontini) e nei modelli di sculture di cera, piombo, gesso, terracotta, acquisiti da Carlo Ginori «a uso della fabbrica», per i suoi maestri.
E poi ci sono i disegni (cinquemila, tra secondo ’800 e primo ’900, con i bozzetti acquerellati per le decorazioni su maiolica e porcellana e con la sezione magnifica dei disegni e schizzi di Gio Ponti, direttore artistico della manifattura dal 1923 al 1932 circa), ci sono le maioliche artistiche di gusto neorinascimentale del secondo ’800 (con la riscoperta da parte del chimico della Ginori, Giusto Giusti, dell’antico «lustro metallico»), gli oggetti Liberty, quelli, superbi, di Gio Ponti e i pezzi di design di chi poi gli succedette, cui si aggiungono la biblioteca storica, la biblioteca specialistica e la fototeca.
Insomma, un patrimonio gigantesco di opere d’arte (e anche di porcellane da tavola, certo, ma «nel grande stile italiano, monumentale anche nel piccolo»), di preziosi documenti e pure di oggetti utili, come certi prodotti della Richard-Ginori (frutto della fusione, nel 1896, con la Società Ceramica Richard di Milano), come gli isolatori per telegrafi, o certi componenti per l’industria, o porcellane da laboratorio, che raccontano tre secoli di storia del gusto e del collezionismo, ma anche di storia economica d’Italia.
«E anche di lotte operaie, rammenta Montanari, perché il museo testimonierà anche questo, e rammenterà il supporto, negli anni ’50, di don Lorenzo Milani agli operai della Ginori che rischiavano licenziamenti in massa. E il rosso che oggi figura nella stella a sei punte del logo (tratta dallo stemma dei Ginori) accanto ai colori tipici della manifattura, oro e blu, evoca proprio le lotte operaie. Oltre a quelle, recenti, del popolo di Sesto Fiorentino, che ha difeso con i denti il suo museo. Questo è un museo che ha lottato per continuare a esistere, che ora sta rinascendo e che presto tornerà, tutto diverso, dinamico, inquieto, progettuale».
Nel 2013, infatti, la Richard-Ginori ha vissuto momenti drammatici, arrivando al fallimento. Rilevata l’azienda dal colosso francese del lusso Kering (famiglia Pinault), il museo rimase fuori dal passaggio di proprietà, presto ammalorandosi pesantemente e mettendo a rischio i suoi tesori, e fu solo nel 2019 che, su stimolo di Tomaso Montanari, allertato dagli Amici di Doccia, l’allora Mibact, guidato da Dario Franceschini, la Regione Toscana e il Comune di Sesto Fiorentino diedero vita alla Fondazione Museo Archivio Richard-Ginori della Manifattura di Doccia (fortemente supportata anche dall’attuale ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano), il cui CdA, presieduto da Montanari è formato da Stefano Casciu, Nicoletta Maraschio, Gianni Pozzi e Maurizio Toccafondi, mentre il comitato scientifico è composto da Mauro Campus, Flavio Fergonzi, Cristiano Giometti, Cristina Maritano e Diana Toccafondi.
I lavori di restauro della sede del museo, costruita negli scorsi anni ’60 da Pier Nicolò Berardi (allievo di Giovanni Michelucci) proprio accanto allo stabilimento di Sesto Fiorentino (nel logo figurano il rettangolo razionalista dell’edificio e la sfera retrostante del serbatoio dell’acqua dello stabilimento, qui con la stella Ginori), ha annunciato il Presidente, «prenderanno il via all’inizio del 2024 e dovrebbero concludersi nel 2025. I fondi ci sono: al milione e 900 mila euro destinati a suo tempo al solo piano terreno, si sono aggiunti i 5.5 milioni per il piano superiore e per l’allestimento. La collezione, acquisita dallo Stato, è stata consegnata (sebbene sia temporaneamente altrove) alla Fondazione, e il piccolo parco del museo è già fruibile».
Intanto, nel museo si può «entrare» grazie al sito, appena lanciato, museoginori.org, realizzato con Consuelo de Gara, responsabile comunicazione del Museo, dalla digital agency fiorentina Cantiere Creativo nel modo più aperto, inclusivo e accessibile, con speciale attenzione agli ipovedenti e ai non udenti, con grande facilità di accesso per tutti e in modo da essere molto veloce (meno di un secondo per una massa di contenuti), scalabile (può gestire picchi di traffico inaspettati senza andare offline o rallentare i caricamenti) e omnicanale (gestibile su più canali e dispositivi, anche con app o VR). Buona navigazione!
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