Laura Lombardi
Leggi i suoi articoliSi è tenuta oggi a Roma, la conferenza stampa con il ministro della Cultura Dario Franceschini, il presidente della Fondazione Museo Archivio Ginori della Manifattura di Doccia Tomaso Montanari, il presidente della Regione Toscana Eugenio Giani e il sindaco di Sesto Fiorentino Lorenzo Falchi, per presentare l’attività della Fondazione e per rendere noti i passaggi futuri che dovrebbero permettere al Museo di riaprire le porte entro circa tre anni.
Il Museo Ginori era nato nel Settecento insieme alla Manifattura di Doccia all’interno degli edifici destinati alla produzione di porcellane, e per quasi trecento anni è stato un museo d’impresa pensato dal fondatore, il marchese Carlo Ginori, come il contenitore privilegiato della bellezza che la sua fabbrica era in grado di creare: il suo patrimonio di oltre 8mila pezzi ne fa uno dei più importanti musei di ceramica del mondo.
Dal 2019 il soggetto privato è diventato di proprietà pubblica, con un percorso inverso a quanto di solito avviene, ma che in questo caso ha salvato il museo dalla paventata chiusura, temuta non solo dagli storici dell’arte, ma anche dalla comunità di Sesto Fiorentino, che fortemente si è identificata in quella realtà lavorativa e culturale.
Secondo il presidente della Fondazione, Tomaso Montanari, «il Museo Ginori, impigliato nel lungo fallimento della Richard Ginori, ha ora imboccato una strada diversa, un’esistenza autonoma, e sono davvero grato al ministro Dario Franceschini, col quale non sono stato sempre in sintonia, per essere intervenuto nel momento giusto. Quando mi ha chiamato sono rimasto sorpreso ma mi sono reso subito disponibile, a titolo gratuito, perché credo che la storia del museo lo meriti. Nonostante la pandemia questi sono stati anni di forte impegno del Comitato sociale, un’innovazione senza precedenti (affiancata al Consiglio di amministrazione e al Comitato scientifico) che vede le varie realtà del territorio entrare nella Fondazione per reindirizzare il suo lavoro sul piano della società. Perché il museo futuro non sarà solo museo d’impresa, ma anche museo del territorio. Come fondazione abbiamo verificato la condizione degli 8mila pezzi inventariati e abbiamo costruito l’immagine virtuale del museo in rete con un suo logo. E tra pochi giorni restituiremo il giardino del museo alla comunità di Sesto come parco pubblico».
L’edificio costruito nel 1965 su progetto di Pier Niccolò Berardi, che lo definiva «un piccolo scrigno», è «una stazione di Santa Maria Novella in miniatura (Berardi era allievo di Michelucci), ma ora necessita di importanti lavori dopo un periodo di abbandono in seguito al fallimento della Richard Ginori, continua Montanari. In futuro sarebbe nelle nostre ambizioni di permettere al museo di espandersi in una costellazione di padiglioni che ospiterebbero laboratori di restauro e biblioteca ecc..».
Il punto cruciale tuttavia sono i fondi che devono giungere dal Ministero, che restituirà l’edificio alla Fondazione solo al momento dell’allestimento. Lo stanziamento per il primo lotto del pianterreno è già esecutivo (1,9 milioni di euro) e affidato tramite gara alla società Tre+, come spiega direttore regionale dei musei della Toscana Stefano Casciu, e nel giro di due anni la prima parte di lavori dovrebbe concludersi. Si tratta adesso di trovare i fondi per il primo piano che, precisa Montanari, ammontano a più di 3 milioni di euro cui si sommano altri 2 milioni per l’allestimento delle collezioni.
Il ministro Franceschini ha promesso che si impegnerà per quel che è nelle sue possibilità: «Sono stato colpito da quanta spinta della comunità ci sia per riaprire il museo e ho verificato come il patrimonio culturale sia spesso un pezzo dell’identità sociale; le fondazioni svolgono un ruolo importante perché sono strumenti indispensabili, previsti dal Codice dei beni culturali per abbreviare i tempi di realizzazione di un progetto. Manca meno di un anno alla fine del mio mandato ma ho tutta la intenzione di proporre le risorse che consentano il completamento del museo per evitare che avvenga ciò che è spesso accaduto nella storia del nostro Paese».
Montanari avverte infatti: «Come Fondazione saremo educati ma pungolanti perché la cosa più importante sarebbe incastrare l’arrivo dei finanziamenti in modo tale da non avere pause tra le varie fasi dei lavori. Noi ci siamo impegnati a portare le opere in depositi sicuri per favorire la velocità degli interventi». Il presidente ha inoltre presentato il lavoro svolto finora dalla Fondazione diretta dal 2021 da Andrea Di Lorenzo, affiancato dalla capo conservatrice Oliva Rucellai e dalla conservatrice Rita Balleri.
Oltre a coordinare il controllo e il completamento dell’inventario della collezione del Museo, è stato creato l’archivio digitale delle opere, sono state organizzate attività didattiche per bambini e adulti e si è avviata la programmazione di conferenze, lezioni, mostre e progetti culturali.
Le novità presentate il 16 maggio sono l’identità visiva del «Museo Ginori» col nuovo logo, disegnato da Muttnik, studio grafico di Firenze che è riuscito a tener conto delle molte realtà che la storia del museo racchiude, sia nei colori (l’oro e il blu dei Ginori, ma anche il rosso del movimento operaio cosi importante nella vita della Manifattura, che è inoltre il rosso della carne, segnata dal lavoro e dalle malattie che può procurare), sia nella grafica, con la stella che ricorre nei marchi Ginori ma che richiama anche le forme del museo dietro cui si profila la cisterna della fabbrica.
Vi è poi il sito internet, disegnato e sviluppato da Cantiere Creativo, che per ora reca la frase : «Il museo è ancora chiuso ma ha già tante storie da raccontare» e rende fruibile online il ricchissimo patrimonio artistico e documentario delle collezioni, insistendo sul coinvolgimento della comunità.
Si serve di una tecnologia basata su Dato CMS, un prodotto italiano già sperimentato con successo dagli Uffizi e dal Ministero dell’Innovazione e della Trasformazione Digitale (pur se privata la Fondazione ha infatti scelto di investire sulla creazione di una soluzione che rispetti pienamente gli standard richiesti alle pubbliche amministrazioni dal Codice dell’Amministrazione Digitale).
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