Simona Sajeva
Leggi i suoi articoliLa sera dell’8 settembre ha colpito il Marocco un terremoto di grande intensità, uno degli eventi sismici più importanti nella storia del Paese. Le province più colpite sono Al-Haouz, sede dell’epicentro, Chichaoua nella regione di Marrakech-Safi, Taroudant nella regione di Souss-Massa, Ouarzazate nella regione di Drâa-Tafilalet e Azilal nella regione di Béni Mellal-Khénifra. Gli effetti sono stati documentati anche in tempo reale e diffusi, rendendo così noto sin da subito l’altissimo numero di morti, feriti e sfollati. Così come evidente è stato il numero di siti e monumenti storici danneggiati, anche irreparabilmente.
Il tessuto urbano e rurale in molte di queste zone però è costituito in gran parte da un patrimonio storico minore se paragonato a quello monumentale, ovvero l’edilizia civile tradizionale, abitativa e non. A un primo bilancio, sembrerebbe che gli edifici costruiti con tecniche e materiali locali abbiano riportato danni meno gravi di quelli realizzati con tecniche contemporanee e materiali di origine semi, o completamente, industriale. Una valutazione definitiva sarà possibile una volta finito il rilievo dei danni, edificio per edificio, costruzione per costruzione, lavoro attualmente in corso.
Tra le autorevoli istituzioni che sono state incaricate di gestire questa fase post sisma figura anche l’associazione senza scopo di lucro Labina, fondata nel 2016 con base a Marrakech.
Il Ministère de l’Aménagement du Territoire National, de l’Urbanisme, de l’Habitat et de la Politique de la Ville ha affidato una missione di rilevamento tecnico dei danni causati dal sisma sulle strutture degli edifici alla Direction de la Qualité et des Affaires Techniques (Dqat) dello stesso Ministero, all’Ordre Nationale des Architectes (Cnoa), alla Fédération Marocaine du Conseil et de l’Ingénierie (Fmci), al Laboratoire Public d’Essais et d’Etudes (Lpee), ai professori N. Mekaoui e O. Hniad, esperti in ingegneria antisismica dell’École Mohammadia d’Ingénieurs (Emi) e, appunto, a Labina. Nella nota d’inquadramento della missione il Ministero ha incluso le schede diagnostiche dei douars (villaggi) e degli edifici sviluppate da Labina, facendone così degli strumenti ufficiali. L’obiettivo è la raccolta di dati utili alla costruzione di una banca dati delle tipologie di danni strutturali che consenta di analizzare le tipologie costruttive delle abitazioni, in particolare di quelle in territorio montano che presentano un carattere identitario, di individuare i modi costruttivi singolari da preservare e di proporre delle misure per incrementarne la resilienza.
Labina (letteralmente «mattone in terra cruda») collabora proprio sul fronte della preservazione delle forme e dei modi costruttivi tradizionali integrandoli con migliorie tecniche rispettose dei loro caratteri. L’associazione è infatti una delle prime nate in Marocco per lo sviluppo di un’architettura sostenibile.
Ne abbiamo parlato con Oussama Moukmir, cofondatore di Labina insieme a Mounsif Ibnoussina e imprenditore specializzato in geomateriali e architettura vernacolare: «Labina nasce a seguito di alcune catastrofi avvenute nel 2014, diluvi e inondazioni nelle montagne dell’Atlante con la conseguente perdita di costruzioni abitative antiche ed è così che abbiamo sviluppato un progetto di ricostruzione e assistenza alle persone che avevano perduto la casa nei villaggi di montagna. Così Labina ha sviluppato un collettivo pluridisciplinare, con ingegneri, architetti, geologi, artigiani, studenti, analisti di dati, sociologi, riuniti con l’unico scopo di difendere l’edilizia ecosostenibile e il patrimonio edilizio storico. In fase post sisma l’associazione ha deciso di concentrarsi più sulla ricostruzione, con un margine di riflessione su soluzioni di rialloggio rapido, che sull’urgenza vera e propria.
Labina propone una visione della ricostruzione che prima di tutto rispetti l’ecologia, il patrimonio, la cultura e l’identità locale e che integri le novità dell’ingegneria moderna per rendere gli edifici più performanti durante il sisma senza ledere il valore di patrimonio storico di queste abitazioni. In montagna la gente ha paura di queste costruzioni (tradizionali), le loro, perché sono pesanti e perché teme che non siano resistenti al sisma. Quindi, se vogliamo conservarle dobbiamo proporre un miglioramento. Inoltre, c’è la percezione che “industriale” sia sinonimo di solidità, cosa che si può facilmente comprendere, quindi introdurre dei miglioramenti provenienti dall’ingegneria moderna permette sia di rassicurare sia di conservare».
Per il momento quindi la priorità dell’associazione è di accompagnare lo Stato nel prendere decisioni su scala urbanistica e ingegneristica. La prossima tappa è fornire dei «modelli ingegneristici» per mostrare che è possibile «costruire meglio con quello che si ha» (sul territorio) e per farlo l’associazione prenderà a esempio dei beni esistenti con un carattere storico per farne un riferimento per la ricostruzione.
A breve verranno rilasciati dei comunicati ufficiali con un bilancio delle attività avviate. Una pubblicazione riassumerà inoltre le attività precedenti e future.
Moukmir segnala che in novembre aprirà un centro di formazione pensato per la ricostruzione che cominci dalla base, dagli operai e dai tecnici, poiché dovrà partire immediatamente dopo la fine dell’inverno.
Un altro progetto è la Guida antisismica semplificata dell’autocostruzione assistita in materiali locali che Labina prepara in partenariato con l’Emi a Rabat. La guida è destinata principalmente alle zone che hanno subito i maggiori danni (Alto Atlante), con costruzioni soprattutto di tipo rurale, ma potrà essere utilizzata anche in altre zone con accelerazione sismica simile, facendo attenzione alle differenze in termini di tipologie costruttive e di materiali, con il vantaggio che nella regione per la quale la guida è pensata, si trova una grande varietà di materiali locali rappresentativa della quasi totalità di quelli rintracciabili a scala nazionale.
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