Bruno Muheim
Leggi i suoi articoliNon vogliamo fare un corso di economia marxista-leninista né dimostrare che il grande capitale uscirà vincente dalla crisi Covid-19 e che solo il proletariato ne pagherà il conto, ma un fondo di verità c’è. Certo il Covid-19 non sta da sé ristrutturando pesantemente il mercato dell’arte, ma sta solamente accelerando un processo che era già in atto. Da un lato aspettiamo da anni l’esplosione della bolla speculativa di una parte del mercato dell’arte, dall’altro sarebbe utile ricordare alcune considerazioni sui risultati degli ultimi anni.
Alcuni sostengono che il mercato dell’arte vada bene grazie ai risultati eccellenti di alcuni dipartimenti, altri dicono che sta molto male malgrado alcune eccezioni. La solita storia del bicchiere mezzo pieno e mezzo vuoto. Iniziamo prima con il mondo delle aste, perché può darsi che sarà quello che subirà le maggiori trasformazioni.
Ci sono due tipi di case d’asta: quelle generaliste e quelle specializzate. Quest’ultime subiranno poche trasformazioni e porteranno avanti la loro attività sperando di non essere in un campo sinistrato come quello dei francobolli. È interessante il caso delle grandi case d’asta cinesi che sono quasi tutte specializzate al massimo in tre settori, come per esempio gioielli, arti decorative cinesi e arte contemporanea, e che siccome la ripresa in Cina è attualmente molto forte recupereranno immediatamente.
Il caso di Christie’s e Sotheby’s è molto diverso. Entrambe basano la loro attività e i loro successi passati su un posizionamento planetario delle loro attività e su un campo di competenza su quasi qualsiasi tipologia di bene. Attualmente l’Europa e gli Stati Uniti sono colpiti al massimo dalla pandemia ed è inutile dire che le vendite online rappresentano il futuro e che possono equilibrare i conti. Certo, sono una risposta interessante all’incapacità di proseguire con le aste classiche con mostre aperte al pubblico, ma in nessun caso, per alcuni settori tradizionali, possono essere considerate come una panacea.
Sfortunatamente le aste di argenti, porcellana e arredi in generale sono le più costose dal punto di vista della manutenzione e nello stesso tempo riguardano mercati profondamenti depressi, senza rinnovo di una clientela già molto anziana e quindi con pochissimo futuro. È vero che in certi Paesi, come per esempio l’Italia, resistono meglio, ma sono casi isolati. È dunque grande la tentazione, sia per Christie’s sia per Sotheby’s, di chiudere alcuni reparti o limitare al massimo la loro attività.
Già la quasi sparizione dei cataloghi cartacei ha permesso una forte diminuzione dei costi, ma gli stipendi di un esperto, di un catalogatore, di un amministratore e di un magazziniere rappresentano una voragine, senza parlare dei costi d’uso di uffici per settori che monitorano poche centinaia di migliaia di euro di commissioni pagate all’anno.
Non dimentichiamo che la crisi di quest’anno è l’ultima di una lunga serie che colpisce il mercato dell’arte e la cui ragione fondamentale è il totale cambiamento del gusto dei collezionisti. In poche parole, basta zuppiere d’argento, piatti di Meissen, invece viva la fotografia e l’arte contemporanea. Dunque, il mantenimento di certi dipartimenti è altamente illusorio, senza dimenticare che in questi dieci ultimi anni quasi la metà dello staff delle due case d’asta è già stata licenziata, rendendo difficili altri tagli.
A Christie’s e Sotheby’s è totalmente vietato mettersi d’accordo su una politica comune: è costato 10 mesi di galera ad Alfred Taubman, il proprietario di Sotheby’s (nel 2002 è stato condannato per un sistema di fissazione dei prezzi che ha coinvolto le due case d’aste, Ndr). Tra le due case d’asta si assisterà dunque a una partita molto serrata per chiudere certi reparti senza che il competitore ne faccia un argomento di marketing.
Christie’s, per esempio, ha chiuso il suo reparto di arte svizzera e il mese dopo Sotheby’s ha giocato questa carta per ottenere un quadro molto importante da un collezionista corteggiato da entrambe. Sono considerazioni puramente di redditività, ma dietro si nascondono drammi umani. Delle migliaia di persone licenziate, quante pensano di trovare un nuovo lavoro?
Le possibilità che ha un esperto di ceramica tedesca del Settecento di trovare un lavoro sono quasi nulle: nessun antiquario o casa d’aste assume nuovo personale e il mondo museale accetta solo persone che hanno un cursus universitario specifico e diverso rispetto alla formazione sul terreno di un esperto proveniente dal mercato. Un banchiere o un benzinaio licenziati per restrizioni dell’attività troveranno un’altra banca o un’altra stazione di servizio, ma il nostro esperto può solo fare la fame.
Non dimentichiamo i drammi umani di persone che hanno dedicato la loro vita a una ricerca intellettuale rigorosa e che si trovano senza nessuna possibilità di guadagno e ancora meno di esercitare in futuro la loro attività. Inoltre la maggior parte delle persone interessate hanno contratti di lavoro in Paesi anglosassoni, che sono estremamente poco generosi in questi casi. La situazione degli antiquari e delle gallerie dipende totalmente dal loro campo d’attività, proprio come per le case d’asta. L’antiquario di arredi d’alta epoca può solo chiudere e vendere l’attività all’ennesimo negozio di moda.
Per i colossi dell’arte contemporanea con un’espansione ipertrofica in questi ultimi anni, il Covid-19 è un’eccellente opportunità per potare un organigramma sovrabbondante. Ancora una volta si tratterà di persone che non potranno trovare un altro lavoro. Certamente gli sfarzi passati e insopportabili di un certo mercato dell’arte saranno un ricordo piacevolmente lontano, ma le vite massacrate di tante persone saranno sempre presenti delle nostre menti.
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