Marco Riccòmini
Leggi i suoi articoliL’Anfiteatro romano di El Jem
Raggiunta la costa dall’isola di Gerba non resta che inoltrarsi un poco all’interno per perdere i sensi alla vista, specie da lontano, nel mezzo del deserto (o quasi), dello spettacolare anfiteatro di El Jem, l’antica città romana di Thysdrus. Sembra d’un tratto di esser capitati dentro il set de «Il gladiatore» (che invece fu edificato pare a Malta in cartongesso). La pietra è color ocra, assai simile a quella con cui a Roma si costruì l’Anfiteatro Flavio. E, come a Roma fecero i Barberini, anche qui stavolta gli arabi lo usarono come cava per costruire la vicina Grande moschea di Qayrawan (Kairouan), che se avanzasse tempo necessiterebbe d’una obbligatoria visita (ricordando che ai non musulmani l’accesso è consentito eccezionalmente solo al cortile). Tornando a El Jem, attorno al «Colosseo tunisino» stanno bassi banchi di venditori di souvenir, tra i quali abili riproduttori di mosaici, fatti alla stessa maniera e con le stesse identiche pietre di duemila anni fa. Chi volesse poi cercare ristoro dall’appena sopraggiunta sindrome di Stendhal potrà rifugiarsi nel Caffè Kasam dove sorseggiare un tè sgranocchiando pistacchi all’ombra d’un grosso fico. Da non perdere i mosaici nel poco distante museo, secondi per dimensioni solo a quelli del Bardo di Tunisi.
La sinagoga di El Ghriba sull’isola di Gerba
Su di un’altra isola del Mediterraneo si trova un altro incantevole luogo di culto. Parliamo della Ghriba sull’isola tunisina di Djerba o Gerba, in italiano, località resa celebre dai tour operator anni Novanta, che tuttavia tendevano a non utilizzare foto della sinagoga per le copertine dei loro cataloghi di viaggio, scegliendo più spesso immagini di bagnanti agghindate in monokini. Una scelta comprensibile, perché il tempio avrebbe rubato loro la scena. D’intenso azzurro che fa il paio con le mattonelle che rivestono interamente le pareti, la sinagoga di El Ghriba è tra le più antiche della Tunisia ed ancora oggi luogo di culto per la piccola comunità ebraica che risiede sull’isola. Potrà incuriosire sapere che alcuni nostalgici ebrei originari di quei luoghi nordafricani hanno ricostruito una piccola Ghriba a Roma, facendo copiare fedelmente da abili artigiani uzbeki le mattonelle di quell’azzurro così intenso. Per chi è cresciuto frequentando il tempio tunisino pare che ritrovarsi nella sua copia romana sia ogni volta un’emozione. Essendo quell’isola un tempo parte dell’Impero ottomano, proprio come l’Albania, non stupirà trovare che il tipico cibo del luogo, ossia il brik, somigli tantissimo al byrek albanese (che poi è lo stesso burik che potreste gustare al ghetto di Roma, per dire).
Il Museo del Bardo a Tunisi
Per chi volesse vedere i mosaici romani più spettacolari al mondo la tappa al Museo del Bardo a Tunisi è irrinunciabile. Tra tutti si ricorda quello detto di Virgilio, scoperto in una casa a Sousse (Susa, non quella piemontese, ovviamente), dove il vate romano in toga bianca siede attorniato alla sua destra da Clio (musa della Storia) e alla sua sinistra da Melpomene (musa della Tragedia), e da queste trae ispirazione per il suo VIII canto dell’Eneide («Poscia che di Laurento in su la ròcca / Fe Turno inalberar di guerra il segno, / E che guerra sonâr le roche trombe» ecc.). Melpomene, in «habit rouge», poggia il capo sul palmo della mano, come a disperarsi. Dopotutto era pur sempre la musa della Tragedia e, difatti, tiene sottobraccio una maschera teatrale. Forse si disperava perché aveva scoperto che, anche a cercar bene, a Tunisi non si trovano ottimi ristoranti e questa, per noi, che nelle gambe abbiamo già molti chilometri, è proprio una vera tragedia (senza la «t» maiuscola, però). Ed è anche una buona ragione per proseguire il nostro viaggio spingendoci ancora più in là...
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