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La facciata del Museo Orientale Umberto Scerrato di Napoli

Foto: Fai

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La facciata del Museo Orientale Umberto Scerrato di Napoli

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I 6 specialisti per le 5 sezioni del Museo Scerrato di Napoli

Il Museo dell’Università L’Orientale è impegnato in importanti processi di informatizzazione e inclusione: verso una rete nazionale digitalizzata e senza barriere

Valentina Laviola

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Il Museo Orientale dell’Università di Napoli L’Orientale, concepito già da Umberto Scerrato alla cui memoria è intitolato, è stato fondato nel 2012 grazie all’impegno dell’allora rettrice Lida Viganoni. La scelta della sede ricadde su Palazzo Du Mesnil, in via Partenope, uno dei palazzi storici dell’Orientale e sede del Rettorato stesso e alla creazione del Museo parteciparono diversi docenti, fra i quali è doveroso ricordare l’impegno di Lucia Caterina (già cattedratica di Storia dell’arte cinese) e con la collaborazione di numerosi studenti. Il Museo si articola in cinque sezioni: abbiamo chiesto ai responsabili di raccontarne lo status attuale.

Matteo Delle Donne, docente di Archeobotanica, è responsabile della collezione della Società Africana d’Italia, confluita nel 2017 nel Sistema Museale di Ateneo dell’Orientale. Di particolare importanza è la collezione botanica, raccolta tra fine Ottocento e inizi Novecento perlopiù nel corso delle spedizioni nelle regioni dell’Africa Orientale: oltre duecento campioni di diverse categorie vegetali (semi, frutti, foglie, radici, legni e fibre tessili), alcuni manufatti tessili e intrecciati, relativi a più di sessanta specie di piante di interesse alimentare, industriale e farmaceutico. Oggi questa collezione testimonia lo spaccato di un mondo vegetale in parte non più esistente che può consentire di ricostruire l’agricoltura, l’alimentazione e l’ambiente del periodo pre-protostorico di quel territorio. Inoltre rappresenta una riserva di biodiversità del futuro, come hanno già dimostrato indagini finalizzate all’estrazione del Dna e a una sperimentazione controllata di germinabilità di semi storici, nel quadro di un più ampio programma di ricerca volto alla definizione del rapporto uomo-ambiente nel passato tra Asia, Africa e Mediterraneo.

Andrea Manzo, docente di Archeologia della Valle del Nilo, cura la collezione proveniente dall’Africa centro-orientale, frammenti ceramici provenienti da campagne di scavo condotte dall’Università di Napoli L’Orientale negli anni Ottanta-Novanta nel Sudan orientale e reperti dall’Eritrea e dall’Etiopia, che datano dal VI al II millennio a.C. Oltre ai frammenti di vasellame in ceramica, molti dei quali recano una decorazione incisa, vi sono accette in pietra, braccialetti in conchiglia (prima metà del II millennio a.C.) rinvenuti in contesti funerari, e monete in argento del regno di Axum recanti legende in greco che testimoniano le intense relazioni con l’ambito mediterraneo. Alcuni di questi materiali sono stati donati, nel 2011, da Lanfranco Ricci.

Romolo Loreto, docente di Archeologia del Vicino Oriente Antico, cura la sala dedicata a quest’area che comprende una collezione glittica di sigilli mesopotamici (dal periodo accadico all’epoca sasanide), donati da Giovanni Garbini all’allora Istituto Orientale. Attualmente, i pezzi sono oggetto di studio e attività di laboratorio tramite microscopia digitale, che permette di riconoscere strumenti e tecniche: dalla micropicchettatura all’utilizzo del trapano, dalla raschiatura all’impiego di strumenti in pietra al tornio. Un mattone elamita del XIV secolo a.C. dalla ziggurat di Chogha Zanbil, Iran (ad oggi, tra le meglio conservate), donato al Museo da Edda Bresciani, preserva un’iscrizione elamica con cui Untash-Napirisha «re di Anshan e Susa» celebrava la costruzione di un edificio in quel complesso cerimoniale-cultuale. L’esposizione, definita in collaborazione con Gian Pietro Basello (docente di Elamico), riproduce alcuni filari in mattoni cotti entro i quali è inserito il pezzo originario. Templi e case private del I millennio a.C., scavate in Yemen dalla Missione Archeologica Italiana diretta da Alessandro de Maigret (docente dell’Ateneo dal 1980 al 2010), sono ricostruite in scala grazie ai plastici realizzati in legno e pietra. Le attività archeologiche nella Penisola arabica sono rappresentate da manufatti neolitici provenienti dal deserto del Nefud, che testimoniano del periodo dell’«Arabia verde» (periodo olocenico), e manufatti ceramici e in pietra ofiolitica riprodotti in stampe 3D dagli scavi di Bamah e wadi bani khalid (I millennio a.C.). Lezioni frontali e laboratori all’interno del Museo Orientale si concentrano su attività di disegno e digitalizzazione di manufatti archeologici, telerilevamento ed epigrafia.

La Sala Islamica è affidata a Roberta Giunta, docente di Archeologia e Storia dell’Arte Musulmana. In esposizione vi è una sezione numismatica che conta circa un centinaio tra monete e calchi); circa 170 manufatti in ceramica, per la maggior parte invetriata e altamente rappresentativi dal punto di vista stilistico, e oltre 160 in metallo risalenti all’XI-XIII secolo e provenienti sopratutto dall’area iranica. Si distingue da questi un lotto di oggetti in rame stagnato dell’Hindustan databile al XVII-XIX secolo. Gli oggetti più antichi sono sette stele funerarie risalenti al IX secolo provenienti dall’Egitto: questa donazione di Paul Balog, risalente agli anni Sessanta, consente una rappresentanza del più vasto corpus noto di documenti epigrafici di natura funeraria proveniente dai territori islamici. A queste si aggiungono tre frammenti di stele, acquistati negli anni Settanta in Afghanistan, a Kabul e Ghazni da Maurizio Taddei. Da Ghazni, sito al centro delle attività della Missione Italiana in Afghanistan, provengono inoltre materiali di provenienza archeologica non esposti. Nel 2023 il Museo ha ricevuto dalla Collezione Aron la generosa donazione di oltre cento coppe magiche in metallo: si tratta di una raccolta straordinariamente ampia della quale si darà ulteriore notizia prossimamente. La presenza del Museo all’interno del polo universitario consente agli studenti di vedere da vicino i manufatti, maneggiare reperti archeologici, partecipare a laboratori ed esercitazioni a carattere epigrafico. 

Chiara Visconti, docente di Archeologia e storia dell’arte della Cina e del Giappone, cura la sezione dell’Estremo Oriente, che racchiude opere di materiali ed epoche varie giunti al Museo tramite donazioni. Il pezzo più importante è una carta geografica dell’Impero Qing stampata con matrici in rame incise da Matteo Ripa e da questi portata a Napoli al suo ritorno in Europa nel 1724. La collezione ceramica include frammenti provenienti da una raccolta di superficie condotta negli anni Settanta a Hormuz, donati da Valeria Fiorani Piacentini, e un nucleo di porcellane di tipo bianco e blu, donate da Lucia Caterina. A questi oggetti si aggiungono alcune sculture buddhiste, una statuetta di bronzo del Buddha Amitayus, un’immagine lignea del bodhisattva Guanyin e numerose copie di rotoli dipinti, nonché un piccolo stūpa in miniatura, in terra cruda, donato da Giovanni Verardi. La sezione ceramica si arricchirà a breve grazie a un’importante donazione di oggetti datati tra il VII e il XX secolo. Oltre che nella didattica, la collezione è di supporto per le attività di orientamento nelle scuole secondarie di secondo grado. Si svolgono laboratori di studio per riconoscere gli impasti ceramici, analisi di vetrine e tecniche decorative, schedatura e disegno archeologico dei frammenti. Copie di alta qualità permettono agli studenti di imparare a maneggiare i rotoli dipinti, di toccare con mano i principi compositivi e le peculiarità di una tradizione pittorica che così tanto perde nelle riproduzioni fotografiche. I plastici di edifici o interi siti in scala sono stati eseguiti dal professor Loreto anche per la sezione Estremo Oriente (la città di Nara e una sepoltura reale di VII secolo), per la sezione africana (un tempio Sabeo e un palazzo Aksumita) e per l’area di ingresso al Museo (il sito di Dahan e-Ghulaman e il suo tempio del fuoco, tra gli scavi condotti da Umberto Scerrato). I plastici riproducono in scala ogni elemento architettonico, al fine di studiare le tecniche costruttive antiche. Molti sono smontabili, proprio per garantirne una fruizione di tipo didattico.

Andrea D’Andrea, docente di Metodologie della Ricerca Archeologica, ci guida nel progetto di riqualificazione. Grazie ai finanziamenti ricevuti nel quadro di un bando Pnrr per un museo «senza barriere», vi sarà un adeguamento strutturale degli spazi con la creazione di nuove aree espositive per favorire la visita a persone con disabilità motoria. Postazioni multimediali consentiranno una corretta fruizione anche da parte di visitatori con disabilità fisiche e sensoriali. Il progetto mira ad ampliare la platea degli utenti. I visitatori potranno esplorare mondi virtuali attraverso applicazioni di realtà aumentata; soluzioni di chatbot e storytelling racconteranno la storia degli oggetti provenienti dall’Africa e dall’Asia organizzati su differenti registri (per bambini e per adulti). Inoltre, percorsi multilinguistici che comprendono, oltre le lingue europee più diffuse, almeno l’arabo e il cinese, favoriranno la partecipazione di comunità locali straniere. Infine una gestione informatizzata di tutti i beni conservati mediante riproduzioni fotografiche ad alta risoluzione e digitalizzazione 3D si avvarrà di un team di docenti dell’Ateneo affiancati da specialisti nelle tecnologie digitali. 

Attualmente il Museo è aperto solo per visite su prenotazione, poiché si trova in una fase di cambiamenti: la riapertura al pubblico è prevista entro la fine del 2024.

Veduta dell’allestimento del Museo Orientale Umberto Scerrato di Napoli

Valentina Laviola, 02 agosto 2024 | © Riproduzione riservata

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