Image

Verifica le date inserite: la data di inizio deve precedere quella di fine

Robert Rauschenberg, «Onoto Snare/Roci Venezuela», 1985 (particolare)

© Robert Rauschenberg Foundation/Ars, New York, 2025, Courtesy of Galerie Thaddaeus Ropac, London, Parigi, Salzburg, Milan, Seoul. Foto: Robert Rauschenberg Foundation

Image

Robert Rauschenberg, «Onoto Snare/Roci Venezuela», 1985 (particolare)

© Robert Rauschenberg Foundation/Ars, New York, 2025, Courtesy of Galerie Thaddaeus Ropac, London, Parigi, Salzburg, Milan, Seoul. Foto: Robert Rauschenberg Foundation

I primi cent’anni di Rauschenberg festeggiati in compagnia

Per l’anniversario del maestro americano, attorno a cui ruota miart, il Museo del Novecento di Milano ospita otto suoi capolavori che dialogano con il rinnovato allestimento 

Image

Ada Masoero

Giornalista e critico d’arte Leggi i suoi articoli

L’edizione 2025 di miart, l’ormai «storica» (è alla 29ma edizione) fiera di arte contemporanea di Milano, ruota intorno alla figura di Robert Rauschenberg (1925-2008), nel centenario della nascita. Non a caso è intitolata «among friends», proprio come l’ultima sua grande retrospettiva, presentata nel 2017 dal MoMA di New York. E il progetto di punta, tra i moltissimi che, in contemporanea, accendono l’intera città, è la mostra «Rauschenberg e il Novecento», curata per il Museo del Novecento dal suo direttore, Gianfranco Maraniello, e da Nicola Ricciardi, direttore artistico di miart, con Viviana Bertanzetti ed Eleonora Molignani, con la consulenza della Robert Rauschenberg Foundation e il sostegno di Fiera Milano: una mostra diffusa nel percorso del museo, che per l’occasione ha completato il suo riallestimento e che, dal 4 aprile al 29 giugno, ospita tra i suoi capolavori otto magnifiche opere del maestro americano, poste in dialogo stretto con essi. 

La pratica della collaborazione, dell’accoglienza delle idee e della condivisione delle competenze, del dialogo «fra amici», in una parola, è stata una costante nella pratica artistica di Robert Rauschenberg, che ripeteva «Ideas are not real estate», le idee non sono proprietà immobiliari, e la mostra, costruita com’è sul costante colloquio con le opere del museo, dal Futurismo all’Arte Povera, ne interpreta esattamente l’attitudine. «Con questo progetto dedicato a Rauschenberg non abbiamo voluto realizzare una mostra monografica in uno spazio dedicato, dice Gianfranco Maraniello, ma piuttosto contrappuntare le grandi tematiche novecentesche attraverso momenti significativi che emergono dal percorso delle collezioni: laddove con il Futurismo c’è la celebrazione della velocità dell’automobile, ecco che Rauschenberg, con un suo “Glut” (1987) in cui assembla frammenti di un distributore di benzina, si riferisce sì alle automobili ma guarda alla crisi petrolifera che (per eccesso di produzione) colpì gli Stati Uniti negli anni ’80. Dove poi c’è l’utilizzo di materiali eterodossi da parte di Alberto Burri (e i rapporti tra i due artisti sono ben noti), ecco apparire, accanto, un “Cardboard”, un cartone “esploso” di Rauschenberg del 1971. Nella sezione collegata al tempo del fascismo, e alla retorica della guerra, c’è invece il Napoleone da Jacques-Louis David di Rauschenberg (“Able Was I Ere I Saw Elba”, 1983, Ndr) accanto alla scultura di Arturo Martini “I morti di Bligny trasalirebbero” (1935), in un confronto che suggerisce letture inedite di entrambe le opere. Ecco la ragione del titolo “Rauschenberg e il Novecento”, dove Novecento si riferisce sì alle grandi tematiche di quel secolo ma anche, è evidente, al nostro Museo». 

Robert Rauschenberg, «Muse Poodle Roll (Phantom)», 1991. © Robert Rauschenberg Foundation/Ars, New York, 2025. Galerie Thaddaeus Ropac. Foto: Glenn Steigemann

I confronti sono stringenti per ognuna delle otto opere del maestro americano: la suggestiva «Scultura d’ombra» site specific del museo, di Claudio Parmiggiani, si rispecchia in uno dei diafani «Phantom» di Rauschenberg, i lavori dei Nouveau Réalistes, con i loro prelievi dalla realtà quotidiana, colloquiano con un suo «Spread» (1983), fatto di tessuto e oggetti feriali; le «rose» di Kounellis e il grandioso «Festa cinese» di Mario Schifano, nella sezione del Museo più vicina alla Pop art, entrano in risonanza con un altro suo «Glut» (il magnifico «Summer Glut Fence», 1987) di lamiere e segnali stradali. Bisbigliata, invece, la conversazione tra i lavori concettuali di Giulio Paolini e un «Hoarfrost» del 1974 di Rauschenberg che, realizzato su un lieve drappo di seta, rende omaggio alla «brina» dantesca. In chiusura, i lavori di Gilberto Zorio e di Eliseo Mattiacci, fondati rispettivamente sulla trasformazione alchemica della materia e sulla relazione con le forze del cosmo, intrecciano vibrazioni con un esempio, realizzato nel 1985 in Venezuela, del progetto interculturale «Roci» (Rauschenberg Overseas Culture Interchange), condotto dall’artista americano tra il 1894 e il 1991. 

La mostra rappresenta anche l’occasione per vedere il percorso delle collezioni completamente rinnovato: «Rinnovato sia in termini di ordinamento tematico, spiega Maraniello, sia di allestimento, che ora asseconda l’architettura nelle sue partizioni originarie. L’obiettivo era di raggiungere un ordinamento più fluido e più chiaro per il visitatore. Superata la galleria del Futurismo, che è stata riallestita per prima, e oltrepassata la sala espositiva, si entra nella sezione “Controverse modernità. Anni 20-40” (controverse perché siamo negli anni del fascismo e perché finisce qui la fiducia progressista nell’evoluzione teleologica delle arti e iniziano i “ritorni”). Abbiamo voluto anche valorizzare la scultura e la dimensione spaziale delle opere e questa scelta è molto evidente al quinto piano, dove per esempio la “Sfera” di Arnaldo Pomodoro, che era in un angolo, ora è al centro della galleria e riflette tutto ciò che le sta intorno, mentre l’opera di Pietro Consagra, nella nuova collocazione, ritrova la visione frontale che il suo autore voleva per tutti i suoi lavori». Ovunque, in questa sezione anch’essa riallestita ora come la precedente, e intitolata «Segno e Materia. Anni 50-60», le immagini fotografiche di Ugo Mulas contrappuntano le opere, rendendole davvero viventi: la «Combustione» di Burri è rispecchiata nella fotografia in cui Mulas riprende l’artista al lavoro, e lo stesso accade con Fausto Melotti, fotografato nello studio: alle sue spalle, le tre opere candide esposte lì accanto, sulla parete del museo. 

Da non perdere, poi, una vera prelibatezza da appassionati: in una teca è esposta una copia del catalogo della mostra «Arte astratta e concreta» (copertina di Max Huber) che si tenne nel 1947 in quello che allora, a ridosso della guerra, era definito «palazzo exreale». A fianco, le due piccole, preziose opere di Kandinskij e di Klee esposte in quella mostra e poi entrate nelle collezioni del Museo del Novecento con la raccolta di Riccardo e Magda Jucker, i grandi collezionisti milanesi che le acquistarono. La mostra di Rauschenberg, che alle collezioni s’intreccia così strettamente, diventa quindi (anche) l’occasione per incontrare il «nuovo» Museo del Novecento. In attesa del Secondo Arengario, che debutterà, in forma di Kunsthalle, l’anno prossimo.

Robert Rauschenberg, «Able Was I Ere I Saw Elba», 1983. © Robert Rauschenberg Foundation/Ars, New York, 2025. Galerie Thaddaeus Ropac, London. Foto: Ulrich Ghezzi

Ada Masoero, 31 marzo 2025 | © Riproduzione riservata

I primi cent’anni di Rauschenberg festeggiati in compagnia | Ada Masoero

I primi cent’anni di Rauschenberg festeggiati in compagnia | Ada Masoero