Mariella Rossi
Leggi i suoi articoliDall’1 gennaio Henry Peter è subentrato a Carmen Giménez nel ruolo di presidente del Consiglio della Fondazione Masi, Museo d’arte della Svizzera italiana, del quale ha fatto parte fin dalla sua creazione nel 2015. Tra le cariche ricoperte in Ticino, quella di presidente del Consiglio della Fondazione per le Facoltà di Lugano dell’Università della Svizzera Italiana (Usi) e quella di membro del Consiglio dell’Usi. Avvocato franco-svizzero specializzato in Diritto societario e Diritto sportivo, dal 1988 è professore ordinario di Diritto all’Università di Ginevra, dove dirige anche il centro multidisciplinare dedicato alla filantropia, da lui creato nel 2017, il Gcp, Geneva Centre for Philanthropy. Ai lettori di «Il Giornale dell’Arte» racconta i suoi progetti per il Masi e il suo parere sul terzo settore nonché l’interazione tra pubblico e privato nel Ticino e in Svizzera.
Presidente Peter, com’è la situazione della filantropia in Ticino? Sia in generale sia nell’ambito del sostegno alla cultura.
Per vari motivi, il Ticino si caratterizza per un’alta densità di iniziative filantropiche. Lo testimoniano alcune cifre. A fine 2023 si contavano 832 fondazioni con una densità di 23,3 ogni 10mila abitanti, superiore alla media nazionale. Nel 2000 erano presenti nel Canton Ticino solo 410 fondazioni, il loro numero è quindi raddoppiato in 20 anni. La distribuzione geografica delle fondazioni ticinesi sotto vigilanza cantonale vede un’alta densità nella regione di Lugano. Sintomatico dello sviluppo del settore è anche il fatto che il comparto si sia progressivamente strutturato e professionalizzato nel corso degli ultimi anni. Si può citare al riguardo la creazione nel 2020 del Cenpro, Centro Competenze non profit, nonché la nascita nel gennaio 2023 dell’Associazione Asfesi che riunisce le fondazioni erogative della Svizzera italiana. A fine 2023 è anche stata creata la Fondazione Mantello Filantropia (Fmf), istituita con l’obiettivo di facilitare l’accesso al dono, aprendo a chiunque disponga di un capitale anche limitato. Per quanto riguarda i settori che beneficiano di sostegni filantropici, il panorama delle fondazioni in Ticino è ampio e copre una vasta gamma di ambiti. I settori del sociale, dell’istruzione e della ricerca, della sanità, dell’arte e della cultura sono dominanti. In Ticino la maggior parte delle organizzazioni erogatrici operano a livello locale, ma ci sono diverse fondazioni attive anche all’estero.
Quali sviluppi prevede? E attraverso quale strategia politica?
Nonostante la presenza sovraproporzionale di fondazioni erogatrici in Ticino rispetto alla Svizzera, penso che il settore abbia ancora un forte potenziale di sviluppo. Mi baso sulla mia esperienza anche in Ticino, dove risiedo, ma in particolare a Ginevra, dove nel 2017 all’Università ho creato un centro pluridisciplinare dedicato alla filantropia (Geneva Centre for Philanthropy, Gcp). In che modo far emergere tale potenziale filantropico in Ticino? Lo Stato ginevrino si è posto la stessa domanda. Convinto dell’importanza del cosiddetto terzo settore, il Governo ginevrino ha affidato al Gcp un mandato con l’obiettivo di analizzare quantitativamente e qualitativamente il settore e di formulare raccomandazioni per favorirne lo sviluppo. Il rapporto è stato consegnato un mese fa ed è probabile che il Cantone medesimo annuncerà su questa base un piano di azione per migliorare le condizioni quadro, nel quale operano non solo le fondazioni, ma anche i donatori individuali, le associazioni e ogni forma di iniziativa non profit, anche aziendale. Se guardiamo al Ticino, possono essere concepiti a tale fine interventi di natura fiscale, ma non solo. Il settore culturale, e dell’arte in particolare, potrebbe beneficiare di tali misure statali data la presenza qui di importanti collezionisti, collezioni e patrimoni. Andrebbe inoltre strutturato un luogo di scambio istituzionale tra operatori privati e pubblici per l’elaborazione e l’attuazione di un’agenda strategica di iniziative che accompagnerebbero e completerebbero gli interventi pubblici, cosa di particolare importanza in un momento in cui le difficoltà finanziarie del Cantone e della maggior parte dei comuni sono ben note.
Si può parlare di buona governance nell’arte?
La buona governance nel campo dell’arte è un tema complesso e in parte a sé stante. Comprende non solo la questione dell’organizzazione e della gestione delle strutture coinvolte, ma anche aspetti tecnici legati alla gestione del patrimonio detenuto, ai prestiti e alle donazioni ai musei, quindi la gestione dei rapporti con i collezionisti e potenziali donatori, e naturalmente aspetti contrattuali e fiscali. Posso ricordare al riguardo due eventi organizzati dal Gcp nel corso degli ultimi anni, «Art Donations to Museums» e «Fondations et droit d’auteur - Enjeux et risques», entrambi disponibili online. Posso anche fare riferimento al libro Droit de l’art et des biens culturels a cura del professor Marc-André Renold e della dottoressa Anne Laure Bandle, due specialisti in materia che collaborano strettamente con il Gcp, nel quale vi è un interessante e importante capitolo dedicato a «Filantropia e arte».
Durante la sua carriera giuridica ha richiamato a revisioni dei paradigmi, ad esempio in ambito sportivo e calcistico. Crede dovrebbe cambiare in qualche modo anche l’attuale impostazione del mondo della cultura?
Va detto che le problematiche emerse nel campo sportivo discendono dal fatto che lo sport è diventato un business, almeno a un certo livello, mentre il mondo della cultura mantiene lo scopo del bene comune. Ciò detto, vi sono delle analogie. Sono infatti due settori dove è importante, e probabilmente necessario, un intervento dello Stato di tipo strutturale e infrastrutturale, non solo per garantire i necessari finanziamenti. La creazione del Masi, frutto di una visione congiunta del Cantone e del Comune di Lugano, ne è un esempio riuscito. Ma il Ticino, ancora fortemente frammentato, offre probabilmente altre significative possibilità in quest’ottica.
Come valuta l’interazione tra privato e pubblico in ambito culturale in Ticino in questo momento?
Mi viene da dire che il settore pubblico ticinese deve essere salutato per le sue già importanti iniziative a sostegno della cultura. Le sinergie tra iniziative cantonali e comunali e tra i vari comuni potrebbero e dovrebbero tuttavia essere maggiormente promosse. Mi risulta che la Consigliera di Stato Marina Carobbio abbia una buona comprensione di questa problematica e sia orientata a prendere iniziative di portata strategica a tale fine. Il Comune di Lugano si sta anche attivando, e il perdurante successo del Lac ne è una concreta illustrazione. Quello che va forse maggiormente approfondito è una collaborazione più stretta e strutturata con il settore privato.
Lei ha ricoperto ruoli professionali e di rappresentanza anche in Italia. Vi sono differenze giuridiche e di abitudini in ambito culturale che l’hanno colpita?
È difficile negare che il contesto svizzero sia, in maniera generale, comparativamente più favorevole per iniziative a favore del settore artistico, adducendo ad esempio che nel nostro Paese è molto più facile creare e gestire delle fondazioni senza interferenza statale. Nel campo dell’arte vi sono anche dei motivi fiscali e altri legati alla legge, ancora d’origine mussoliniana, concernente la protezione dei beni culturali in Italia, legge che può avere quale ripercussione il fatto che opere ritenute di interesse nazionale possano essere in sostanza messe sotto il controllo dello Stato, con conseguenti limitazioni alla proprietà privata. Penso che in Svizzera vi siano anche maggiori risorse messe a disposizione del settore pubblico, dei musei e, in genere, dell’ecosistema culturale. Questi sono peraltro solo alcuni degli aspetti che fanno sì che la Svizzera in generale, e il Ticino in particolare, dispongano di un certo vantaggio competitivo.
Come ha impostato la sua presidenza al Masi? Che cosa ha già concretizzato come presidente e quali obiettivi si pone?
Sono onorato di essere stato nominato presidente e della fiducia che è stata riposta in me. Ciò detto, sono ben cosciente delle responsabilità che ne derivano e farò del mio meglio per far fronte a questa sfida. La mia visione si fonda su alcune convinzioni. Occorre innanzitutto essere all’ascolto e inclusivi: ciò presuppone di capire le necessità, ma anche le possibilità delle varie entità e persone coinvolte, e preventivamente identificare chi esse sono. Si possono citare al riguardo il Cantone e il Comune di Lugano. Va menzionata l’Associazione Pro Museo, ma anche la direzione e tutto il personale del Masi, che fa un eccellente lavoro. Vi è poi la collaborazione con i coniugi Olgiati, che mettono a disposizione la loro magnifica e prestigiosa collezione. Ma vi sono anche altri collezionisti e realtà meno note e altri musei, con i quali si potrebbe collaborare. Non possiamo poi dimenticare il pubblico, composito, che va da esperti alle scuole locali, dai visitatori cittadini a quelli della Svizzera interna a quelli proveniente dall’immenso bacino del Nord Italia. Detto questo, il ruolo del Consiglio di Fondazione che presiedo non è di interferire nelle attività di cui è incaricata la direzione del Masi, ma è di natura strategica. L’obiettivo è di essere in grado, nella durata, di offrire delle mostre di ottimo livello e di attrarre un ampio pubblico. È fondamentale ma allo stesso tempo difficile trovare un giusto equilibrio tra le qualità delle mostre, senza che queste siano troppo elitarie. Non vanno mostrati solo artisti di fama internazionale, ma anche artisti svizzeri e ticinesi, senza dimenticare artisti giovani, spesso di grande valore. Occorre anche lavorare sulle infrastrutture e in quest’ottica stiamo affrontando la questione dei depositi necessari al Masi per meglio svolgere la propria attività. Vanno infine migliorate le condizioni quadro con la speranza di poter così attrarre ulteriori donazioni, fattore essenziale per lo sviluppo del museo.
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