«Venere, Marte e Amore» (1634) di Guercino, Modena, Galleria Estense (particolare)

Ministero della Cultura - Galleria Estense. Foto: Carlo Vannini

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«Venere, Marte e Amore» (1634) di Guercino, Modena, Galleria Estense (particolare)

Ministero della Cultura - Galleria Estense. Foto: Carlo Vannini

Valeria Tassinari

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Specialisti, pubblico, collezionisti e antiquari sono tutti concordi: la passione per il Guercino continua a contagiare e Giovanni Francesco Barbieri (Cento, 1591-Bologna, 1666) è salito sul podio dei pittori più amati del Seicento, ormai solo a un piccolo passo di distanza da Caravaggio per notorietà e apprezzamento. Lo confermano l’incalzante sequenza di mostre in musei (conclusa quella della Pinacoteca Nazionale di Bologna, mentre ai Musei Reali di Torino «Guercino. Il mestiere del pittore» è in corso fino al 28 luglio, a Roma ne aprirà una nuova alle Scuderie del Quirinale in autunno, poi probabilmente si continuerà fuori confine) e l’affettuosa attenzione con cui è stata accolta la riapertura della Pinacoteca di Cento, sua città natale; ma anche convegni, itinerari tematici, eventi e iniziative, tra le quali il film «Guercino. Uno su Cento» con la regia di Giulia Giapponesi, in distribuzione nelle sale cinematografiche. Un successo popolare di portata nazionale e internazionale, suggellato sul mercato da frequenti apparizioni di opere, autografe o di bottega, spesso gratificate da consistenti rivalutazioni.

Alle origini di questa vivace attenzione per l’artista, che oggi svetta nel contesto di una generale revisione del Seicento emiliano e dei suoi protagonisti, emerge il ruolo di Sir John Denis Mahon (Londra, 1910-2011), lo storico dell’arte che, per primo e più di ogni altro, ne ha saputo riconoscere e rilanciare il valore in età contemporanea. Infatti, mentre nel suo tempo il Guercino godeva di una solida fama internazionale, nell’Ottocento il cambiamento del gusto comportò un notevole ridimensionamento della considerazione dell’artista, giudicato una figura secondaria. Verso la fine degli anni Trenta del ’900, il poco più che ventenne studioso londinese giunse in Italia. Seguendo i consigli di maestri come Nikolaus Pevsner e Kenneth Clark, e inseguendo la propria passione per l’arte e il collezionismo, nel nostro Paese quel giovane raffinato, appena formatosi tra Eton e Oxford, scoprì l’immediatezza del Naturalismo emiliano. E se ne invaghì. Grazie a frequenti viaggi tra Londra e Bologna, dove divenne amico di Cesare Gnudi, Andrea Emiliani e Francesco Arcangeli, Mahon fece dell’Italia una seconda patria e, dopo aver acquistato «per poche lire» un’opera del pittore centese, continuò per decenni a cercare nuove tracce, rimanendo tanto legato al Guercino e alla sua terra da diventarne cittadino onorario, dopo la mostra celebrativa del 1991.  

Sir Denis Mahon se ne andava il 24 aprile 2011, cinque mesi dopo il suo centesimo compleanno, lasciando un’eredità di 57 opere d’arte di pregio, donate a vari musei europei, una fondazione e un patrimonio tra libri, documenti e pubblicazioni il cui contributo alla conoscenza dell’arte del Seicento è fondamentale. 

Collezionista di solido intuito, filantropo e strenuo difensore della gratuità dei musei, il longevo storico dell’arte ha dunque avuto il tempo e la capacità di condurre, consolidare e condividere il proprio percorso, mettendo a punto un metodo fondato sulla ricerca documentaria. Ricordato per la sua affabilità e per la qualità delle sue indagini su nomi di prima importanza (Carracci, Guido Reni, Caravaggio e Nicolas Poussin...), grazie alle mostre e alle pubblicazioni che curò Mahon continua a essere un punto di riferimento su diversi autori, ma rimane senza dubbio il Guercino l’artista che più si lega al suo operato, perché il livello di valorizzazione raggiunto oggi dal pittore non sarebbe possibile senza quel particolare processo di rivalutazione da lui avviato con un metodo documentario rigoroso, che ha ispirato e continua a ispirare nuove ricerche. Intorno alla figura di Mahon, infatti, sono confluite e si sono rinsaldate negli anni proficue collaborazioni tra studiosi di diverse generazioni, i quali ne hanno raccolto il testimone nell’attività di ricerca e di curatela,  portandola all’interno degli atenei. Tra questi, abbiamo chiesto una breve testimonianza a tre storici dell’arte di prestigio nel mondo accademico internazionale, chiedendo loro di unire memoria personale e professionale, per suggerire come ricordare e salvaguardare l’eredità intellettuale di Sir Denis in un momento in cui gli studi sul Guercino, ma anche sulla sua Bottega e sulla sua Scuola, sono in pieno fermento.  

Sir Denis Mahon. © Prudence Cuming

David Stone: «Era lo Sherlock Holmes delle provenienze»

«Ho incontrato Sir Denis (che non era ancora “Sir” in quel momento) nel novembre 1984 nella hall dell’Hotel Roma a Bologna, quando ero appena arrivato in città per fare ricerche per la mia tesi di PhD ad Harvard sullo sviluppo dello stile del Guercino, racconta David Stone (San Francisco, 1955), professore emerito dell’Università del Delaware negli Stati Uniti, autore del catalogo completo dei dipinti (Cantini, 1991) e di numerosi altri studi guerciniani, che in un certo senso era un’indagine sulle idee di Mahon sulla questione dell’influsso del soggiorno romano e di monsignor Agucchi sul maestro centese. In quella occasione incontrai per la prima volta anche Luigi Salerno, Nicholas Turner e Prisco Bagni. Siamo tutti andati a Cento, dove abbiamo incontrato Fausto Gozzi, e poi a Piacenza per visionare i restauri degli affreschi del Guercino e del Morazzone nella cupola. Da quel momento Denis e io siamo stati amici per molti anni. Nel 1985 sono stato a Londra quasi un mese e ho visitato la sua casa a Cadogan Square, e abbiamo cenato insieme molte volte. È impossibile descrivere l’importanza per me di quegli incontri: di giorno andavo alla Witt Library o a studiare disegni del British Museum, e la sera stavo con Sir Denis a discutere di tutto. Nella primavera del 1985 e nell’estate del 1986 ho lavorato molte volte nella casa di Luigi Salerno a Roma quando lui e Mahon mettevano insieme l’indispensabile catalogo completo dei dipinti (Ugo Bozzi, 1988, Ndr). Ho imparato moltissimo. Tra le sue pubblicazioni, sono insuperabili i due cataloghi della mostra sul Guercino organizzata a Bologna nel 1968 (quello dei dipinti del 1968 e quello dei disegni del 1969). Sono così pieni di notizie che ogni volta che li guardo sono stupito dell’erudizione di Sir Denis. Come Luigi Salerno mi ha detto una volta: “Mahon sa tutto sul Guercino”. Negli anni Cinquanta e Sessanta, Mahon era forse l’unico a unire il talento di connoisseurship con la passione di rintracciare la storia delle opere attraverso i documenti, era lo Sherlock Holmes delle provenienze. Nella sua metodologia la cosa che mi ha influenzato di più era il modo in cui nel Guercino studiava il rapporto fra i disegni preparatori e i relativi quadri. Così studiava la mente creativa dell’artista. Purtroppo oggi molti quadri e disegni sono offerti al pubblico (in aste e gallerie, ma anche ogni tanto in mostre) come originali quando non lo sono. Mahon ha protetto la reputazione del Guercino ferocemente. Nella sua opinione solo raramente il Guercino ritoccava le opere della sua Bottega. Le mostre possono contribuire moltissimo a un più grande riconoscimento e apprezzamento della qualità vera e propria del Guercino, tenendolo distinto dai suoi collaboratori, studenti e seguaci. La mostra ideale dovrebbe presentare originali, copie e varianti gli uni accanto agli altri. E dovremmo cercare di farla il più presto possibile per preservare l’insegnamento di Mahon. Insieme, si dovrebbero esporre i rapporti diagnostici che ci permettano di capire le differenze fra le tele e il ruolo della bottega rispetto alle autografe. Studiamo troppo sugli schermi del computer e non dal vero. È un enorme errore di cui sono colpevole anch’io».

David Ekserdjian: «Una devozione instancabile alle opere originali»

«Ho incontrato per la prima volta Sir Denis il 20 dicembre 1985, ricorda con piacere David Ekserdjian (1955), ordinario di Storia dell’arte e filmografia all’Università di Leicester in Inghilterra, perché dovevo collaborare con lui per la mostra “Guercino Drawings from the Collections of Denis Mahon and the Ashmolean Museum”. Era molto cortese e mi trattava come un suo pari. Non sono diventato un vero Guerciniano, ma negli anni, a Londra ma anche a Bologna, siamo sempre rimasti in contatto e con mia moglie sono stato ospite alla cena per i suoi cent’anni alla National Gallery. Aveva un’instancabile devozione non solo per le fonti scritte, ma anche per lo studio delle opere originali. La sua prosa è sempre lucida e non ama ipotizzare nulla oltre ciò che è probabile. A livello locale, ha confermato la stima che Cento e Bologna già accordavano all’artista, ma è stato lui a portare la sua reputazione a livello nazionale e internazionale. Nel Regno Unito, la forza di Mahon garantiva che il mondo dell’arte non avrebbe mai potuto dimenticare il Guercino. Oggi la sua eredità si deve preservare seguendo il suo modo di fare e non lasciando che il mercato domini sulla pratica della storia dell’arte nelle università e nei musei».

Denis Mahon (il secondo da sinistra) con Andrea Emiliani, Cesare Gnudi ed Eugenio Riccomini. Foto tratta da Wikipedia

Daniele Benati: «Spronava con le domande e il suo entusiasmo»

«Non ricordo quale sia stata la prima occasione di incontro, sottolinea Daniele Benati (Bologna, 1955), professore ordinario di Storia dell’Arte moderna presso l’Università di Bologna, curatore e autore di numerosi studi guerciniani, perché mi sembra di averlo conosciuto da sempre, da quando lo vedevo a Bologna in compagnia di altri studiosi più grandi di me. Fu sempre molto gentile. Nel lavoro Denis (in quanto baronetto, bisognava chiamarlo così) era mosso da un infaticabile desiderio di approfondire problemi di cui già si era occupato, ma sui quali tornava sempre con occhi nuovi e ponendosi ulteriori interrogativi. In occasione della mostra di Annibale Carracci, che organizzammo con Eugenio Riccòmini a Bologna e a Roma nel 2006, si fermava a lungo davanti a ogni quadro, che conosceva benissimo, e poneva domande alle quali si rispondeva alla fine da solo dopo aver riflettuto con calma, senza dare nulla per scontato. Per me è stata una grande lezione. Riguardo al Guercino, non si può dire che quando cominciò a occuparsene (il suo primo articolo è del 1937) il pittore fosse uno sconosciuto, ma certo sfuggivano la sua importanza e la sua originalità: si trattava di un buon pittore del Seicento, come tanti. Gli studi di Mahon gli hanno eretto uno straordinario monumento grazie al quale ha ottenuto una fama internazionale. Per arrivare a ciò, si è avvalso del contributo di numerosi altri studiosi che spronava con le sue domande e il suo entusiasmo. Dapprima le amicizie bolognesi (Gnudi, Emiliani ecc.), ma poi anche altri lo hanno affiancato su problemi specifici: Luigi Salerno, Prisco Bagni, Nicholas Turner. Nel 2011, in un’intervista a “Il Giornale dell’Arte”, ha detto che proprio per questo il suo lavoro è stato così appassionante. Quanto alla sua eredità metodologica, sappiamo che, grazie al suo “libro dei conti” e alle informazioni fornite dai suoi eredi a Malvasia, il Guercino è senza dubbio il pittore meglio documentato del Seicento italiano. Si tratta però di informazioni che vanno interrogate in vista di nuove risposte. Denis ha aperto la strada, ma bisogna che altri continuino a percorrerla, con la stessa capacità che lui aveva di non dare nulla per assodato in modo definitivo. Ci sono aspetti da approfondire e altri sui quali avviare una riflessione: anche la stessa simpatia che il pubblico attuale dimostra per Guercino, tanto da farne il pittore più amato dopo il Caravaggio, suscita domande. ll suo scritto più importante è Studies in Seicento Art and Theory del 1947, tuttora fondamentale per il metodo che lo sorregge, facendo interagire l’analisi dello stile con lo studio delle fonti e delle idee con cui l’artista si è misurato. È un peccato che lui stesso abbia sempre rifiutato di pubblicarlo in italiano. La Sir Denis Mahon Foundation che gestisce il suo lascito potrebbe ora promuoverne la traduzione: oltre che di grande utilità, sarebbe sicuramente un bel modo di ricordare l’amicizia tra Denis e l’Italia».Un’amicizia che, come ricorda Orietta Benocci Adam, trustee della The Sir Denis Mahon Foundation insieme a Suzanne Marriott, «è stata creata da Sir Denis nel 1988 ma è diventata attiva durante gli ultimi anni della sua lunga vita e mira a continuare il suo lavoro filantropico, la ricerca nel campo della storia dell’arte e la sua appassionata promozione di giovani studiosi e artisti. Fra le tante iniziative, la donazione alla Pinacoteca di Cento finalizzata al restauro della sede per i danni del terremoto del 2012. Archivio e biblioteca di Sir Denis andranno invece alla National Gallery dell’Irlanda a Dublino: una miniera di sapere ancora tutta da scoprire». E la bella notizia è che la «miniera» è già consultabile su nationalgallery.ie.

«Venere, Marte e Amore» (1634) di Guercino, Modena, Galleria Estense. Ministero della Cultura - Galleria Estense. Foto: Carlo Vannini

Valeria Tassinari, 21 maggio 2024 | © Riproduzione riservata

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