La fotografia è davvero neutrale e oggettiva? In che modo la nostra conoscenza e interpretazione della storia è influenzata dalla sua narrazione visiva? «Diachronicles», il progetto della fotografa palermitana Giulia Parlato, si propone di cercare una risposta a queste domande. Nella mostra «Pathosformel, archeologia del possibile» (dall’11 maggio al 29 giugno), presentata alla galleria bergamasca Cartacea, Parlato crea un dialogo e una relazione con le immagini del fotografo ottocentesco Francis Frith (1822-98) per riflettere sull’impatto della fotografia sulla storia e l’archeologia.
Considerato un pioniere della fotografia, grazie in particolare all’adozione di tecniche come il collodio umido su negativi di vetro e il processo di stampa all’albumina, Frith divenne famoso per le sue fotografie di monumenti egiziani, le quali non solo all’epoca permisero al mondo di scoprire la cultura e la storia del Paese, ma continuano ancora oggi a influenzare lo studio dell’archeologia.
Alle fotografie di Frith, che appaiono a tutti gli effetti una prova oggettiva di una realtà storica, Parlato oppone immagini di musei vuoti, di reperti archeologici falsi o mai esistiti. I suoi scatti in bianco e nero sono volutamente ambigui, di difficile comprensione e collocazione. L’artista offre così una riflessione sulla complessità della memoria storica e l’impossibilità di un’immagine di comunicare una verità oggettiva. «Le fotografie di Parlato documentano il confine tra qualcosa che è veramente accaduto e qualcos’altro che appartiene alla fiction e al fake, tra vero attendibile e simulazione», scrive il critico d’arte Mauro Zanchi a proposito della mostra.
La ricerca di Parlato è fortemente influenzata dal lavoro di Aby Warburg (1866-1929), il quale ridefinì i confini della storia dell’arte e diede vita al concetto del «Pathosformel», che illustra le connessioni simboliche e storiche tra immagini di epoche diverse. La fotografa si spinge però ancora oltre, sfidando l’idea che una visione oggettiva della storia possa esistere e affermando invece l’esistenza di molteplici interpretazioni e manipolazioni della realtà.
Figlia della propria epoca, Parlato risponde a una questiona primaria della nostra società, in cui la relazione con l’immagine gioca un ruolo essenziale. Le evoluzioni tecnologiche e comunicative degli ultimi anni, la facilità di scattare e condividere fotografie e, più recentemente, la propagazione di immagini create con l’intelligenza artificiale rendono infatti essenziale la comprensione dei limiti e delle criticità del medium fotografico e della narrazione visiva. «Diachronichles» offre così un contributo al dibattito, ricordando al pubblico la fragilità della propria conoscenza.