Cento anni fa, e più precisamente nell’ottobre del 1924, André Breton pubblicava il primo Manifesto del Surrealismo. Un elogio dell’immaginazione, della meraviglia, della dimensione onirica, degli automatismi psichici, della manifestazione «del pensiero, in assenza di ogni controllo esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale», per dirla con lo stesso autore. Il Museo di Arti Decorative Accorsi-Ometto celebra la ricorrenza con una mostra dedicata a Giorgio de Chirico (1888-1978), ritenuto da Breton il grande precursore del Surrealismo.
Visibile dall’8 novembre al 2 marzo 2025, è curata da Victoria Noel-Johnson, storica dell’arte britannica, esperta in materia. L’arco temporale va dal 1921 al 1928, con un focus sul 1924 «per evidenziare l’importanza del ruolo di de Chirico nella nascita e nello sviluppo del Surrealismo, nonché analizzare il suo complicato rapporto con André Breton, il fondatore del movimento, con il poeta francese Paul Éluard e sua moglie Gala (che poi sposò Salvador Dalí)», spiegano dal museo. Tramite l’amico Guillaume Apollinaire, Breton venne a contatto con la pittura metafisica di de Chirico intorno al 1916 e, a partire dal 1921, iniziò con lui una fitta corrispondenza, fino a che si incontrarono per la prima volta di persona nel 1924, a Parigi. Fu l’inizio di un periodo di forte amicizia e collaborazione, esauritosi però rapidamente nel 1925. I surrealisti non accettarono la svolta classicista di de Chirico, tanto che Breton arrivò a individuare nel 1918 l’anno della sua morte artistica. In realtà la sua profonda propensione per l’arte classica e per la pittura del Quattrocento italiano non gli impedì di elaborare soggetti innovativi, permeati di una grande forza immaginifica e connessi con le profondità metafisiche e psichiche dell’animo umano. «La sofisticatezza intellettuale, l’eccellenza tecnica e l’innovazione creativa delle opere di de Chirico realizzate durante tale periodo (1921-28), dimostrano l’esatto contrario di quanto articolato da Breton», aggiungono dal museo.
Oltre settanta le opere esposte: una cinquantina di dipinti e opere su carta di de Chirico, più una ventina di ritratti di artisti, poeti e scrittori surrealisti, fotografati da Man Ray e Lee Miller. Tra gli altri «La mia camera nell’Olimpo», un olio su tela del 1927 in cui accosta in una relazione apparentemente casuale alcuni oggetti della sua stanza, come un letto, che rimanda al sogno, e il cielo al posto del soffitto, che evoca la forza e la libertà prorompenti del pensiero; e «Chevaux devant la mer» (1927-28), uno dei soggetti più studiati dagli artisti dell’antichità, qui al cospetto degli abissi che si nascondono sotto la superficie del mare, solo per citarne un paio. Giorgio de Chirico, in fondo, fu sempre legato alle profondità della psiche e del pensiero; infatti, come lui stesso affermava, affinché «un’opera d’arte sia veramente immortale bisogna che essa esca completamente dai limiti dell’umano: il buon senso e la logica le faranno difetto».