Giovanni Curatola
Leggi i suoi articoliLa situazione politica nel Vicino e Medio Oriente (una definizione e spartizione geografica dei territori cara all’orientalistica di qualche tempo fa…) è indubbiamente complessa, ed è così da diversi decenni, tra alti e bassi, con vere e proprie guerre e crisi ricorrenti. La monarchia Hashemita giordana (lo Stato giordano, regno hashemita di Giordania, risale al 1949, dopo un protettorato britannico iniziato nel 1925), prima con la guida di re Hussein (e la validissima collaborazione del fratello, principe Hasan, uomo illuminato e da molti anni uno dei grandi leader culturali del mondo arabo), e poi col figlio re Abdallah, ha goduto e gode di un’invidiabile (e probabilmente invidiata) stabilità. Ciò nonostante una posizione geografica chiave e centrale in tutta l’area, frutto di un’accorta strategia politica. Intorno, più o meno, il consueto caos.
L’eterna e irrisolta questione israelo-palestinese che coinvolge direttamente la Giordania: la guerra con Israele del 1967 ha portato di fatto, ma non di diritto, (ONU risoluzione 242 del 24.11.1967), all’annessione della Cisgiordania, di Gerusalemme Est e delle alture di Golan, oltre che della penisola del Sinai (tornata all’Egitto nel 1979) da parte dello Stato ebraico. Il Libano è stato flagellato dalla guerra civile combattuta fra il 1975 e il 1990. L’Iraq, che peraltro invase un paese arabo sovrano, il Kuwait, nell’agosto 1990, provocò la prima guerra del Golfo nel 1991.
Poi la assai più pretestuosa e controversa guerra del 2003 che ha portato alla fine del regime di Saddam Hussein (1937-2006), ma non certo a una normalizzazione di quel Paese. La guerra civile siriana, lunghissima (dal 2011-12) e ancora non finita. E poi la situazione politica dell’Egitto, con le manifestazioni della «primavera araba» di piazza Tahrir (gennaio 2011), il governo di Muhammad Morsi (2012-13) e, quindi, il regime instaurato dal generale-presidente al-Sisi (formalmente dall’8 giugno 2014).
Considerando che l’Arabia Saudita è un mondo ancora piuttosto chiuso in se stesso (nonostante qualche missione archeologica straniera vi operi), e che l’Iran della Repubblica Islamica non è considerato in Occidente paese sicuro (al pari della Turchia di Recep Tayyip Erdogan), si comprende bene come la stabilità politica della Giordania sia da considerarsi come una splendida eccezione in quella cruciale e strategica area del mondo che è il Vicino e Medio Oriente. Questa turbolenta e instabile situazione politica ha portato la Giordania a essere diventata in campo turistico una delle mete più frequentate internazionalmente, proprio perché percepita quale destinazione sicura.
Ovviamente anche l’attrattività monumentale di siti quali la romana Jerash nel nord del Paese e Petra a sud, hanno aumentato notevolmente il numero dei turisti che annualmente vi si recano in visita. Anche l’archeologia, entro certi limiti, ha seguito e segue questo andamento, anche nella rinnovata consapevolezza che la presenza di missioni archeologiche straniere in un certo Paese può essere vista, e rivenduta, come simbolo di una normalizzazione e pacificazione, in realtà mai avvenute. Guardando e censendo la concentrazione di missioni archeologiche in una determinata zona, si ha anche uno spaccato della situazione politica di aree geografiche e culturali molto vaste.
La Giordania, al pari di altri, è un territorio ricchissimo di testimonianze storiche, dunque archeologiche, anche per essere stato un importante crocevia e luogo di transito, spesso un vero e proprio limes fra influenze politiche e culturali fra loro interconnesse. Uno sguardo alle attività italiane, di varie università, quasi immancabilmente sostenute anche dal Ministero degli Affari Esteri (e dal prezioso lavoro delle locali autorità diplomatiche), è dunque pertinente e utile a divulgare la meritoria attività di tante istituzioni.
L’importanza e preminenza delle attività archeologiche in Giordania è stata confermata anche dalla scelta di tenere a Firenze il 14° Congresso Internazionale sulla Storia e l’Archeologia della Giordania (21-25 gennaio 2019), con un’altissima e qualificata presenza di studiosi e ricercatori provenienti da tutto il mondo, e dal successo scientifico del simposio. Tutte le missioni archeologiche sul territorio sono effettuate con la collaborazione e la supervisione del Dipartimento delle Antichità della Giordania.
Fra le iniziative di studio e ricerca segnaliamo le indagini a cura del Cnr-Itabc (Consiglio Nazionale delle Ricerche; Istituto per le Tecnologie Applicate ai Beni Culturali) con la direzione di Roberto Gabrielli (e un numeroso stuolo di collaboratori) relative alla mappatura di alcuni siti (i mosaici di Umm ar-Rasas, la rete idrica e alcuni edifici monumentali del Parco Archeologico di Petra, la fotogrammetria di Shawbak, rappresentazioni tridimensionali per ipovedenti o in condizioni di disagio visivo), in un ampio contesto relativo anche oltre che al loro studio alla conservazione, per esempio in relazione a possibili eventi sismici.
Un importante intervento su Petra è stato quello Unesco (finanziato anche dalla Aic-Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, diretta in Giordania da Michele Morana), coordinato da Costanza Farina (con Giorgia Cesaro, Amman) sul celebre Siq (il famoso «canyon» di Petra) e la sua messa in sicurezza, soprattutto idraulica ma non solo, per prevenire i rischi di disastri; come l’alluvione del novembre 2018 che pur provocando una notevole devastazione non ha raggiunto i livelli della catastrofe, appunto prevenuta.
È dal 2005 che una missione dell’Università «La Sapienza» di Roma, promossa e guidata da Lorenzo Nigro, esplora nella valle di Wadi az-Zarqa il sito di Khirbet al-Batrawy, portando alla luce un complesso di fortificazioni su più livelli e un «palazzo delle Asce», oltre a un importante e originale impianto urbanistico di una città risalente al III millennio a.C. Le ricerche sono state più recentemente estese, nella Giordania centro-settentrionale (a una ventina di km da Amman), ai siti di Jamaaan e Rujm al-Jamus due fortezze dell’età del Ferro. A Jebel al-Mutawwaq (Primo periodo del bronzo I, circa 3.500-2.900 a.C.) opera una missione italo-spagnola diretta per la parte italiana da Andrea Polcaro (Università di Perugia).
Assai ambizioso è il Mramp (Progetto di Museo Archeologico Regionale di Madaba), sempre diretto da Andrea Polcaro con la collaborazione di università nordamericane (La Sierra University, Gannon University), relativo alla regione centrale di Madaba che presenta una straordinaria continuità insediativa dal Neolitico al contemporaneo, con nella città di Madaba resti del primo periodo del bronzo, età del ferro, e in particolare le fasi romano-bizantina e quella islamica omayyade, con i famosissimi mosaici pavimentali. Da ormai molti anni, nella regione di Madaba, in particolare sul monte Nebo, opera con Eugenio Alliata lo Studium Biblicum Franciscanum, in un sito nel quale per molti anni ha lavorato il francescano Michele Piccirillo (1944-2008), uno dei più noti archeologi italiani anche in campo internazionale.
La più longeva missione archeologica italiana in terra di Giordania è quella medievista dell’Università di Firenze (fondata e diretta da Guido Vannini, con la collaborazione di Michele Nucciotti e Andrea Vanni Desideri) nel castello crociato di Shawbak (il castello di Monreale, edificato da Baldovino I re di Gerusalemme nel 1115) e nella Petra medievale (per esempio con gli insediamenti di al-Habis e al-Wu’ayra), mettendo in campo strumenti scientifici multidisciplinari (archeologia degli elevati, archeologia pubblica) e anche costituendo una valida palestra per giovani archeologi; e questo, ovviamente, non è prerogativa esclusiva dei fiorentini, ma più o meno pratica comune per tutte le missioni archeologiche già citate.
Negli anni le caratteristiche dell’insediamento castellare di Shawbak (un luogo, paesisticamente spettacolare e suscettibile di notevolissimi sviluppi, anche turistici), prima crociato e poi musulmano (con gli Ayyubidi del grande Saladino e poi i Mamelucchi) si sono precisate attraverso gli scavi i quali, comunque, vista l’ampiezza del sito, sono tutt’altro che conclusi. Nel 2018 si è aperta una trincea-scavo ai piedi della collina con il castello in un terrazzamento nell’area di Jaya, dov’è stata in parte scavata una notevole e assai interessante struttura islamica, con corte, fontana centrale e notevoli pavimentazioni. Infine l’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro con Giovanna De Palma dal 2009 è responsabile dell’intervento dell’Istituto sui dipinti murali del palazzetto, fra gli edifici più famosi risalenti all’epoca omayyade, di Qusayr ‘Amra.
Giovanni Curatola è professore di Archeologia e Storia dell’Arte Musulmana, Università degli Studi di Udine
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