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Gaetano Pesce

Foto cortesia di Gaetano Pesce

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Gaetano Pesce

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Gaetano Pesce o del rovesciare i canoni

Un sovversivo che cercava e programmava una certa confusione tra i linguaggi, sempre in bilico tra arte, architettura e design

Marco Scotti

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Nell’annunciare la sua scomparsa, lo scorso 3 aprile a New York dove risiedeva dal 1983, la famiglia di Gaetano Pesce (nato a La Spezia nel 1939)  lo ricordava come un rivoluzionario, in equilibrio tra arte, architettura e design. E riguardandolo ora, proprio di continui rovesciamenti del canone è fatto il suo percorso: Pesce è stato un sovversivo che si è mosso attraverso il gioco, cercando e programmando una certa confusione tra i linguaggi. Ha proposto una contaminazione tra discipline che è diventata vera e propria strategia progettuale, destinata a spostare continuamente i confini, per liberare gli oggetti dal dogma del funzionalismo portando all’estremo il loro valore emotivo e consolatorio.

La sua personale messa in crisi delle logiche della serie è stata pensata ed elaborata immergendosi nei luoghi della produzione, nelle fabbriche come nei laboratori artigiani, indagando a fondo materiali e processi per ricercare l’unicità attraverso l’imperfezione, sorprendendo ogni volta. La casualità per Gaetano Pesce è un elemento che parte dalla progettazione, interviene nella produzione e influenza positivamente non solo l’oggetto ma la stessa persona che lo fabbrica, liberata dalla ripetitiva routine della serie («William Morris was right,» come direbbe Jeremy Deller…?).

Esterno e liminale a movimenti ed etichette, il suo lavoro ha costeggiato il design radicale e il postmodernismo, si è confrontato con le sperimentazioni artistiche del Gruppo N, e ha in definitiva prodotto soprattutto statement, progetti e oggetti che si presentavano come manifesti.

Due mostre in particolare sembrano definire la sua lucida visione a partire da un elemento, il tempo. Nel 1972 Gaetano Pesce è invitato dal curatore Emilio Ambasz alla seminale mostra al MoMA di New York «Italy: The New Domestic Landscape», nella sezione dedicata agli environment per l’abitare contemporaneo, e con la sua «Underground room» progetta un prologo ironico che riflette sul presente: propone infatti i resti di un habitat per l'anno 2000 presentato come se fossero stati ritrovati nell'anno 3000.

 Nel 2004 dedicava invece la sua grande retrospettiva alla Triennale di Milano proprio al passare del tempo, quel fenomeno inevitabile che avrebbe reso la stessa mostra obsoleta prima o poi. Proprio il valore di questo elemento è per lui una lente per indagare l’effimero e il transitorio, interpretare il presente e intuire il futuro: tra mobili di cartapesta, poltrone in feltro, tavoli in resina e sedute in poliuretano, in fondo tutto il lavoro di Gaetano Pesce è stato un interrogare l’essenza stessa del design, i suoi limiti e le sue possibilità.

Marco Scotti, 15 aprile 2024 | © Riproduzione riservata

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