Guglielmo Gigliotti
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Lo storico dell’arte Fabio Benzi (Roma, 1958) ha esplorato, mediante libri, saggi e grandi mostre, l’arte e la cultura dal XV al XX secolo. È professore ordinario di Storia dell’arte contemporanea all’Università «Gabriele d’Annunzio» di Chieti-Pescara, dal 2000 al 2005 è stato direttore artistico del Chiostro del Bramante a Roma e dal 2016 fa parte del Comitato scientifico della Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma. Mai però gli era successo quanto avvenuto grazie a un colpo di teatro di Gennaro Sangiuliano. La grande mostra sul Futurismo, quella fortemente voluta dallo stesso ministro, era già pronta. Una mostra grande, originale, bastava allungare la mano e l’avremmo avuta in Italia, al MaXXI, e con poca spesa. Ma il ministro, stupendo i suoi stessi funzionari, ha detto no: la mostra sul Futurismo la faccio io. È questo l’antefatto delle vicende della mostra «Il tempo del Futurismo», alla Gnam dal 2 dicembre (dopo la data del 30 ottobre, inizialmente annunciata).
Professor Benzi, come è andata?
Diversi mesi prima che si inaugurasse, alla fine di aprile, la mostra da me curata «Futurism & Europe» (al Kröller-Müller Museum di Otterlo, nei Paesi Bassi), proposi all’allora presidente del MaXXI Alessandro Giuli e all’allora direttore artistico Bartolomeo Pietromarchi un trasferimento della mostra in Italia. La proposta venne accolta con entusiasmo. La mostra, che avrebbe accolto più di 200mila visitatori, era molto ampia e affrontava l’influenza del Futurismo, dal 1915 in poi, su tutti i movimenti d’avanguardia europei, con opere provenienti dai maggiori musei del mondo. Era una lettura critica originale, che rivelava l’attrazione mondiale per l’Avanguardia italiana. Dimostravo perfino che Depero influenzò il carattere dei grattacieli di New York durante il suo soggiorno americano. Una visione innovativa di un movimento veramente internazionale, che finora si stentava ad avere.
E poi?
È iniziato un gran lavorio tra il museo olandese e il MaXXI, con l’amministrazione e Bartolomeo Pietromarchi impegnati per più di due mesi a dettagliare tutti gli aspetti, tecnici, materiali ed economici, di un trasferimento di opere molto complesso. La mostra sarebbe costata per l’Italia solo 700mila euro, a fronte dei 2 milioni e mezzo spesi dagli olandesi. Così, prima di siglare definitivamente il faticato protocollo d’intesa tra i due grandi musei, Pietromarchi si reca al Ministero della Cultura, per ottenere una piccola integrazione della spesa del MaXXI, e lì capita il fattaccio. Sangiuliano dice che la mostra non s’ha da fare, che la dobbiamo fare noi.
Noi chi?
Noi italiani.
Ma lei, Pietromarchi e Giuli non siete italiani?
Fino a prova contraria sì.
Come la prendono a quel punto gli «stranieri», gli olandesi?
Malissimo. Si arrabbiano molto. Avevano rinunciato a richieste per una nuova tappa in musei della Danimarca e della Germania, perché ritenevano più significativa l’ospitalità di questa mostra da parte del Paese che fu la matrice della grande idea del Futurismo. È stata quindi una tremenda figuraccia internazionale, e una grande occasione persa (per gli italiani come per i tedeschi o i danesi, che avrebbero potuto approfondire la conoscenza del Futurismo). Io, all’epoca, per quanto sbigottito, non ho voluto fare polemiche. Ma adesso che Sangiuliano non c’è più, penso abbia un senso raccontare questa disavventura culturale italiana.
Come si arriva a una deriva simile?
Col pensare che una mostra sul Futurismo possa essere fatta da chiunque e in pochissimo tempo. Ma non è così. E poi col ritenere che chiunque possa diventare ministro della Cultura. E che un ministro della Cultura possa dare un indirizzo culturale a un intero Paese, riscrivendone la storia. Ma la storia va prima studiata. È solo così che si capisce che la storia è una dimensione molteplice e indefinita, in cui non esiste un singolo che possa dare indirizzi. Figuriamoci Sangiuliano.
Ma ora c’è Alessandro Giuli. Se le chiedesse di curare una mostra sul Futurismo, che cosa direbbe?
Ne sarei felice, ma chiederei almeno tre anni per realizzarla. Per quella olandese ne abbiamo impiegati cinque. Poi chiederei piena libertà di scelta, oltre che sull’idea, che deve essere originale, sui collaboratori. Per la mostra in Olanda ho chiamato i maggiori studiosi internazionali del Futurismo.
Un’idea possibile di mostra?
Avrei bisogno anche di tempo per pensarci, ma forse si potrebbe immaginare l’influenza internazionale del Futurismo prima del 1915.
Una mostra che potrebbe aprire al pubblico nel 2029?
Le mostre, i grandi musei le fanno così.
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