Rica Cerbarano
Leggi i suoi articoliNegli ultimi anni stiamo assistendo a un incremento importante della presenza delle donne nel sistema dell’arte e della fotografia. È un dato di fatto. Sono molte le artiste e le professioniste che hanno trovato spazio in mostre, pubblicazioni, musei o altri luoghi dell’arte, e altrettante le iniziative dedicate a sensibilizzare il grande pubblico sul tema della parità di genere. Ma se ci soffermiamo ad analizzare l’anno appena trascorso scopriamo dati interessanti.
Nel suo «Women Artists Market Report» del 2023, Artsy ammetteva che «nonostante la frequenza con cui l’uguaglianza di genere viene discussa nelle pubblicazioni d’arte, nelle mostre e nel mondo dell’arte di oggi, il mercato delle aste nel suo complesso non rispecchia nulla di simile alla parità di genere. Nel 2022 sono stati venduti all’asta 11 miliardi di dollari di opere d’arte. Di questi, le opere di artisti maschi hanno rappresentato 9,7 miliardi di dollari, mentre le opere di artiste donne hanno rappresentato poco più di un miliardo di dollari: appena il 9,3% del totale complessivo». Il report del 2024, basandosi esclusivamente sulle azioni commerciali avvenute su Artsy nel 2023, evidenzia che «il 25% delle richieste di opere d’arte in vendita ha riguardato opere di artiste donne. [...] le opere di artisti maschi, al contrario, hanno rappresentato il 71% (il restante 4% è suddiviso tra artisti non binari, collettivi e artisti senza specificazioni di genere)».
Concentrandoci sul mondo della fotografia, da alcuni dati raccolti da «Il Giornale dell’Arte» relativi al 2023 vediamo che su un campione di 25 gallerie internazionali specializzate in fotografia il 37% dei nomi rappresentati sono artiste donne, mentre in Italia su un campione di 15 gallerie si sfiora il 34%. Tuttavia, al di là delle percentuali, come ricorda Daniela Brogi nel suo saggio Lo spazio delle donne, la «disparità non passa solo dai numeri, ma dalle gerarchie». È interessante notare il confronto tra Italia ed estero rispetto alle figure professionali che gravitano attorno al settore fotografico: nel nostro Paese i ruoli dirigenziali all’interno di istituzioni fotografiche sono prevalentemente affidati a uomini, mentre dietro le testate giornalistiche più importanti del Paese si «nascondono», nella maggior parte dei casi, redattrici e photo editor donne. All’estero la situazione è decisamente più equilibrata, con un caso interessante in Svizzera, in cui la maggior parte delle figure a capo dei centri fotografici sono donne: Nathalie Herschdorfer al Photo Elysée; Nadine Wietlisbach al Fotomuseum Winterthur; Danaé Panchaud al Centre de la photographie Genève, Amelie Rose Schüle al Photoforum Pasquart Biel/Bienne.
Guardando ancora in casa nostra, i maggiori centri espositivi dedicati alla fotografia sembrano avere una predilezione per i «grandi autori». Tra le mostre di punta del 2023, in ordine sparso: Gabriele Basilico e Vincenzo Castella esposti in Triennale Milano; JR, Luca Locatelli e Mimmo Jodice a Gallerie d’Italia - Torino; Ugo Mulas e Paolo Pellegrin presso Le Stanze della Fotografia (inaugurato a Venezia a marzo dell’anno scorso). Per quanto riguarda «grandi nomi» femminili, Camera Torino ha ospitato Eve Arnold e Dorothea Lange, mentre altre istituzioni non prettamente fotografiche hanno esposto il lavoro di Letizia Battaglia (Palazzo Ducale di Genova), Tina Modotti (Palazzo Roverella di Rovigo) e Zanele Muholi (Mudec di Milano, che ha presentato anche il lavoro della vincitrice della prima edizione del Deloitte Photo Grant, Newsha Tavakolian, fotografa Magnum meno conosciuta al pubblico generalista, ma molto nota tra chi si occupa di fotografia documentaria). Una nota di merito va ai festival di fotografia, dove le mostre con artiste donne raggiungono circa il 44% (dato estrapolato sulla base dei quattro festival maggiori in Italia, Cortona On The Move, Fotografia Europea, Si Fest e Fotografia Etica di Lodi). Una percentuale accettabile, ma sicuramente migliorabile.
Dunque, se è pur vero che le donne hanno conquistato più spazio, di che spazio si tratta? Siamo sulla strada giusta? Quello che conta di più, al di là dei numeri, è l’«umore sociale» del nostro settore. Da una parte c’è un sostegno sempre maggiore alle artiste e alle donne che lavorano nell’ambito, dall’altra una sorta di diffidenza (e, nei casi più estremi, di rifiuto) verso le attività mirate a incentivare l’inclusione delle donne nel dibattito artistico.
Ammettendo che i progetti «female-oriented» rischino talvolta di creare un’ulteriore bolla di interesse e una sorta di «ghettizzazione», è però indubbio che questo tipo di attenzioni sono la reazione a una cultura che da secoli si basa sulla discriminazione di genere, di cui gli unici a beneficiare sono sempre stati gli uomini. Di fronte a una certa preoccupazione per cui le donne ora siano «ovunque» senza meritarselo sul serio, Daniela Brogi ricorda come questi siano «argomenti paternalistici quando vengono pronunciati in un contesto vistosamente asimmetrico e sbilanciato come quello, tuttora persistente, in cui nessuno, di solito, trova sensato chiedersi se gli uomini si meritano le cose». D’altro canto, per un vero cambiamento non bastano le iniziative «tutte al femminile»: la sensazione è che queste siano molto potenti dal punto di vista della comunicazione, ma poco incisive per quanto riguarda la scala valoriale di chi lavora nel settore e non generino un vero impatto sull’etica del quotidiano, dove si continua ad assistere a episodi di discriminazione sottile e per questo meno riconoscibile. Al di là del binarismo uomo/donna, è importante ricordare che le iniziative più efficaci sono quelle che adottano un’attenzione sistematica verso il coinvolgimento di un ampio numero di soggetti e punti di vista, arricchendo la propria offerta culturale senza cadere nella fossilizzazione di un’idea o di un’ideologia, ma concependo la diversità come filosofia da applicare in maniera trasversale nella programmazione espositiva ed editoriale, e nella costruzione dei team e delle professionalità che contribuiscono alla produzione culturale del nostro Paese. La verità è che alle donne non interessano i numeri e le percentuali, ma essere ascoltate, riconosciute per il valore aggiunto che, proprio in quanto donne, possono portare al discorso fotografico in Italia, seguendo l’esempio di quanto è successo in altri settori culturali. Nessuno può più aspettare.
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