La mostra di Jorge Macchi alla Galleria Continua, «False Autumn» (fino al 26 gennaio 2025) prende il titolo da un’opera composta da tasselli di un puzzle sparsi sul pavimento che, visti da vicino, si rivelano essere foglie vere, autunnali, ritagliate; ma falso autunno è anche il fenomeno che la siccità ha prodotto, causa di un estivo e precoce «feuillage». Analogamente, altre installazioni, dipinti e sculture e un piccolo video rimandano al sottile gioco sospeso tra realtà e artificio, originale e copia, i cui fragili confini segnano la nostra esistenza, fino a comporre un progetto concepito sul filo del «paradosso, della sospensione di significato, una delle forme dell’umorismo» che, come lo stesso Macchi ci ricorda, è uno degli strumenti preferiti di Borges. «Rorschach #1» e «Rorschach #2» sono ispirati alle celebri immagini simmetriche del test psico diagnostico, ma ciò che vediamo non è frutto di trasferimento ottenuto da un foglio piegato, bensì dall’unione di due fogli simmetrici di carta. Unicum fittizio è pure il tavolo di «Déjà vu» che vede riunite due parti di uno stesso mobile, rese diversissime dalle alterne vicende trascorse, mentre la scatola di cartone di «Confesión» ha tutti i lati traforati da un modulo a forma di croce come quella di metallo dei confessionali, restituendo una visione frammentata dell’interno e di ciò che sta dietro. E poi ci sono bottiglie, non di vetro ma di plastica, che racchiudono oggetti che risvegliano immaginari fantastici, ma ci richiamano al tempo stesso al degrado del nostro pianeta.
La platea e il palcoscenico dell’ex teatro/cinema accolgono la mostra «Raccogliere parole» di Sabrina Mezzaqui (fino al 12 gennaio), composta di lavori silenziosi, relazionali e poetici nella riflessione sulla fragilità e l’effimero. Dal soffitto pendono tre altalene su cui il visitatore può dondolarsi, ma anche cinque libri di poesie di Mariangela Gualtieri (e altri versi sono ricamati su alcuni telai), mentre sul pavimento sono caduti alcuni petali dei fiori conservati tra le pagine. Al centro del palco è «En - Il tavolo di Plotino», che ci offre una sottile connessione con alcuni dei lavori di Macchi poiché anch’essa è fondata sul ritaglio: la scatola contiene tanti frammenti di carta, migliaia di parole, pronunciate nel corso di incontri di piccoli gruppi di lavoro tenutesi tra San Gimignano e Maccastorna nei mesi precedenti la mostra, a commento di brani delle «Enneadi» del filosofo greco. Così pure l’esito del cammino percorso a piedi da Pistoia a san Gimignano va a comporre «Raccogliere parole - il tavolo della poesia», mentre laboratori di composizione spontanea accompagnano lo svolgersi della esposizione. Un senso di caducità permea altri lavori, tra cui i disegni che riproducono mandala parzialmente cancellati.
All’Arco dei Becci troviamo invece fino al 12 gennaio la giovane Barbara Bojadzi, diplomata all’École de Beaux-Arts di Parigi e già vincitrice di premi, qui alla sua prima personale in Italia con «Monades», in riferimento a ciò che racchiude in sé il concetto dell’Uno, origine di tutte le cose e che rimanda al principio di unità del cosmo. Fortemente interessata ai processi di trasformazione, i suoi dipinti sono realizzati sovrapponendo strati di colore con diverse textures su pannelli di legno usati per la costruzione e la ristrutturazione, che generano un effetto di movimento viscerale, flussi di energia vitale; l’artista sceglie d’altronde anche di sottomettere le sue opere alle forze naturali, accogliendone le modifiche generate dal clima.