Flaminio Gualdoni
Leggi i suoi articoliLa vera questione è la notizia. Perché improvvisamente il primo maggio 2023 i giornali tornano a parlare di «Comedian», l’ormai famosa banana vera attaccata al muro da Maurizio Cattelan? Leggiamo che al Leeum Museum of Art di Seul lo studente d’arte coreano Noh Huyn-soo ha staccato la banana, fissata al muro con del nastro adesivo, come ognun sa, e l’ha mangiata, giustificandosi così: «Ho saltato la colazione ed ero affamato». Sono seguiti il pronto intervento del personale del museo, che ha collocato un’altra banana, e i suoi responsabili hanno annunciato che non ci sarà nessuna denuncia.
Bello. Tutto, nella perfetta ripetitività di default che accompagna la vita mondana della banana fatta opera d’arte, mi ha ricordato le eleganze mondane settecentesche di gesti ripetuti all’infinito, come ritualmente, come simulazioni di sé stessi. Una sorta di minuetto in cui tutti fanno ciò che ci si aspetta che facciano, lo fanno compitamente, e noi dovremmo educatamente plaudire, per passare subito ad altro. C’è pure la giustificazione fintoideologica del giovane, anch’essa tratta dal baule delle ovvietà di circostanza: «Anche danneggiare un’opera d’arte potrebbe essere visto come un’opera d’arte, ho pensato che sarebbe stato interessante… La banana non è stata messa lì per essere mangiata?».
Vabbè, mi spiego. È il primo maggio, non succede niente (!), tu giornalista non hai di meglio (!!) da scrivere, e questa è una notizia di colore ineccepibile: curiosa il giusto, perfettamente pastorizzata, utile anche per postillare che nelle loro scalmane i difensori del clima di Ultima Generazione da poco se la sono presa pure con il dito medio del medesimo Cattelan davanti alla Borsa di Milano, imbrattandolo. Tanto ormai in questo sistema massmediale da social l’attenzione e la memoria dei lettori sono come quelle dei pesci rossi, non serve molto per pasturarle.
E poi parlare di Cattelan è andare sul sicuro, è come usare un cartonato promozionale in servizio permanente effettivo. Non c’è neppure da fingere indignazione per i destini dell’arte: vien da chiedersi, semmai, se esistano, tali destini, e se ci sia qualcuno cui interessano. Al di là, intendo, della misura del chiacchiericcio che tutto omologa e azzera. Aveva in fondo ragione Madame du Deffand, di cui Benedetta Craveri ci ha raccontato mirabilmente l’ossessione della «noia»: oggi «gli sciocchi sono banali e freddi», e non più «stravaganti e assurdi come una volta».
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