Maurita Cardone
Leggi i suoi articoliCi sono artisti il cui lavoro ci aiuta a rileggere il passato per interpretare il contemporaneo. Nona Faustine è una di queste. Fino al 7 luglio, il Brooklyn Museum presenta «Nona Faustine: White Shoes», la prima personale museale della fotografa e la prima a raccogliere l’intero corpus di 42 fotografie con cui l'artista ha avviato un’indagine sulle eredità della schiavitù nella società americana contemporanea.
La serie è un’esplorazione dei luoghi della città e dello stato di New York legati alla schiavitù e alla tratta internazionale di esseri umani dall’Africa al Nuovo Mondo. Un pezzo di storia spesso dimenticato, in una città che, tradizionalmente liberale, si è costruita una narrativa fatta di sistematiche rimozioni, nonostante quello di New York sia stato tra gli ultimi stati del Nord degli Usa ad abolire la schiavitù.
Le immagini di Faustine, che è nata e cresciuta a Brooklyn, mettono in primo piano il corpo dell’artista che si ritrae, spesso nuda, davanti a noti monumenti newyorkesi come Wall Street o Central Park. Luoghi che normalmente non vengono associati a quella pagina di storia, ma che nascondono un passato di violenze nei confronti di milioni di persone che qui venivano maltrattate, sfruttate e vendute o, più tardi, tenute ai margini della società. In altre immagini i luoghi scelti dalla fotografa sono paesaggi urbani, oggi apparentemente neutri, ma in cui le approfondite ricerche condotte da Faustine rivelano vite precedenti fatte di abusi e traumi stratificati.
L’artista fa così del suo stesso corpo un monumento che è insieme celebrazione di corpi troppo a lungo vessati, memoria storica e memento di un passato non ancora passato del tutto. Quel corpo, vulnerabile e possente al tempo stesso, è uno di quei corpi su cui la nazione americana ha costruito il suo potere, condizionando la storia mondiale. Il tema dei monumenti e di ciò che le società scelgono di monumentalizzare è diventato di grande attualità a seguito della recente ondata di presa di coscienza sugli effetti a lungo termine del colonialismo.
La serie «White Shoes», tuttavia, è del 2015: la riflessione di Faustine su questi temi è dunque antecedente. Il suo è un discorso personale, un’esplorazione che la coinvolge da vicino, tanto da volerci mettere non solo la sua faccia, ma l’intero corpo. Il titolo fa riferimento alle scarpe bianche che l’artista indossa in alcune delle immagini e che sono simbolo dell’oppressione e dell’assimilazione imposta alle popolazioni africane sradicate dalla propria cultura. Alla serie è dedicato anche un libro, pubblicato dall’inglese Mack nel 2021.
Il Brooklyn Museum, che di Faustine aveva già acquisito ed esposto lavori negli anni scorsi, mette in mostra la serie all’interno dell’Elizabeth A. Sackler Center for Feminist Art. La mostra è un invito a pensare criticamente al passato, facendo i conti con ingombranti realtà storiche, mentre la società americana sembra sempre più tentata dalla censura della verità.
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