Scolpito nell’immaginario collettivo, il paesaggio della Florida è al centro di una nuova mostra allestita dal 14 ottobre all’11 maggio 2025 nel Metropolitan Museum of Art. «Floridas» riunisce il lavoro di due artisti appartenenti a generazioni diverse, con l’obiettivo di gettare luce sulla complessità e le contraddizioni del Sunshine State. Lo sguardo acuto di Walker Evans (1903-75), maestro della fotografia americana documentaristica, incontra quello di Anastasia Samoylova (Mosca, 1984), promettente artista russo-americana residente a Miami. A cura di Mia Fineman, la mostra presenta le fotografie e i dipinti dei due artisti, oltre a negativi e cartoline provenienti dall’Archivio Walker Evans dell’istituzione. Da una parte, le opere di Evans realizzate nel corso di quarant’anni; dall’altra, Samoylova con le sue immagini dai colori sgargianti, interessanti cortocircuiti visivi da cui affiora la consapevolezza della precarietà del paesaggio, conseguenza inevitabile del cambiamento climatico, della gentrificazione e dell’estremismo politico di quest’area geografica. «La mostra presenta nuove prospettive sul lavoro di entrambi gli artisti mettendoli in dialogo tra loro, spiega la curatrice. Il lavoro di Samoylova si configura così come una manifestazione contemporanea della tradizione documentaristica inaugurata da Evans e altri fotografi. Allo stesso tempo, introduce il pubblico al lavoro di Evans in Florida, che non è molto conosciuto, e ai dipinti che vi realizzò negli anni Cinquanta».
Abbiamo intervistato Anastasia Samoylova.
La mostra accosta il suo lavoro a quello di Walker Evans. Come nasce questo parallelismo?
L’idea è nata da un legame comune con la Florida. La curatrice ha riconosciuto un parallelo tra il lavoro di documentazione di Evans, realizzato in Florida tra gli anni ’30 e ’70, e le mie recenti indagini sui cambiamenti ambientali e l’urbanizzazione in questo Stato. È un onore poter dialogare con una figura come la sua, la cui eredità fotografica ha plasmato il modo di vedere l’America. Questa mostra permette di riconsiderare la sua visione nel contesto contemporaneo e consente al mio lavoro di proseguire e ampliarsi.
Da dove ha origine il suo interesse per il paesaggio della Florida?
È iniziato subito dopo il mio trasferimento a Miami nel 2016. Originaria della Russia, dopo aver vissuto in diverse città degli Stati Uniti, sono rimasta affascinata dai forti contrasti dell’ambiente: la vibrante, ma fragile, bellezza tropicale giustapposta all’incessante sviluppo urbano. C’è qualcosa di surreale nel modo in cui il paesaggio naturale coesiste con l’intervento umano, dalle palme svettanti alle autostrade infinite e ai grattacieli. La Florida incarna un’affascinante tensione tra le visioni utopiche e le realtà più dure della vulnerabilità climatica e della disparità sociale. Gli spazi urbani sono saturi di stimoli visivi, ma sotto la loro luminosità e i loro colori vivaci si cela un senso di impermanenza, soprattutto in un luogo in cui l’innalzamento del livello del mare e le condizioni meteorologiche estreme incombono. Mi propongo di catturare sia il fascino sia l’instabilità di questo paesaggio, concentrandomi sul modo in cui esso riflette questioni più ampie in America.
Il lavoro di Evans è un’ispirazione per lei?
La sua fotografia mi ha sempre colpito profondamente per la sua capacità di catturare un luogo in evoluzione, sia nel suo paesaggio fisico sia nella sua identità culturale. Dalle sue immagini la Florida emerge come uno Stato in transizione, dove la bellezza naturale contrasta con lo sviluppo e il turismo in crescita. Questa tensione tra l’idilliaco e il commerciale si è intensificata nel tempo ed è qualcosa che esploro nella mia pratica. Di Evans mi colpisce il suo essere senza tempo, la sua capacità di catturare l’essenza di un luogo rimanendo critico nei confronti delle forze che lo plasmano.
Che cosa ha imparato sulla Florida attraverso la fotografia?
È spesso percepita come un paradiso assolato, ma sotto questa facciata nasconde strati di tensioni storiche, sociali e politiche. Attraverso il mio lavoro, ho iniziato a vedere le contraddizioni insite nel suo paesaggio, comprendendo come la sua identità visiva rifletta alcune dinamiche più profonde: la crisi climatica, l’eccessivo sviluppo e le lotte spesso trascurate dei suoi abitanti. Ciò che mi ha colpito di più, tuttavia, è l’evoluzione del panorama politico della Florida, un radicamento profondo delle polarizzazioni, che è visibile anche negli spazi fisici dello Stato: comunità recintate, complessi di lusso e quartieri popolari trascurati.
E a livello universale, che cosa può insegnarci?
Il paesaggio della Florida ci ricorda la vulnerabilità dell’ambiente, le conseguenze dello sviluppo incontrollato e il potere duraturo della natura di reclamare il proprio posto. È uno specchio di preoccupazioni più ampie sul futuro del nostro pianeta e sul modo in cui noi, come società, interagiamo con esso.
Le piacerebbe avere una grande mostra in Italia? E dove?
Assolutamente sì, l’Italia ha sempre occupato un posto speciale nel mio cuore. La Fondazione Prada è un’istituzione che ammiro molto per il suo impegno nei confronti dell’arte contemporanea. Esporre in un’istituzione così iconica sarebbe un sogno che si avvera.