Donne alla ribalta, finalmente in primo piano, con un’evidenza che va oltre l’apparenza, oltre l’eleganza, oltre la seduzione. Centoventi dipinti, accostati a sculture, opere grafiche, abiti e accessori, molti prestiti pubblici e privati, per raccontare la magnifica stagione a cavallo tra ’800 e ’900, quando le donne si scoprirono capaci di una vera indipendenza nella cultura, nella politica e nella società, e iniziarono a reclamarla con forza, senza nulla perdere della loro femminilità ma, piuttosto, utilizzandola per «mettersi in scena» con un’autoconsapevolezza nuova, come fecero molte borghesi ma soprattutto le celebrities che più influenzarono lo stile dell’epoca, da Eleonora Duse a Wally Toscanini, da Lydia Borelli a Toti Dal Monte, per non parlare della marchesa Luisa Casati.
Certo non è la prima volta che l’affermazione di questa peculiare iconografia nella Belle Époque viene ricordata, ma la mostra «Donna in scena. Boldini, Selvatico, Martini», allestita dal 14 aprile al 28 luglio nel Museo Santa Caterina di Treviso, accanto a opere ben note presenta numerosi inediti che rendono l’occasione invitante. Infatti, come ricorda Fabrizio Malachin, direttore dei Civici Musei Trevigiani e curatore di questa mostra, si tratta di «una mostra pensata per la valorizzazione del patrimonio veneto e in particolare di quello del museo trevisano, che ha recentemente acquisito un vasto fondo di opere e documenti di Lino Selvatico (più di 50 dipinti e circa 300 opere grafiche, oltre a stampe e fotografie usate dall’artista per studio e soprattutto il suo archivio privato, costituito da 25 faldoni di documenti, diari e lettere manoscritti, per lo più inediti, fotografie di famiglia, l’archivio personale e la biblioteca personale di 1.200 volumi, Ndr). In occasione del centenario della morte dell’artista l’indagine sulla sua vasta produzione ha portato a individuare il tema del ritratto femminile tra quelli più significativi del suo operato» e così si è sviluppato un progetto che gli ha affiancato altri autori con affini attitudini e carriere giocate tra Italia ed Europa: dalle grandi personalità cui spesso la Biennale di Venezia dava visibilità (Giovanni Boldini, Alberto Martini, Giacomo Grosso, Cesare Tallone, il britannico John Lavery, gli «Italiens de Paris» Giuseppe De Nittis e Federico Zandomeneghi) alla selezione degli artisti veneti quali Ettore Tito, Pietro Pajetta, Eleuterio Pagliaro, fino al meno noto Giulio Ettore Erler (Oderzo, 1876-Treviso, 1964), una riscoperta di cui la mostra si fregia.
Come tiene a sottolineare il curatore «l’idea guida è riflettere sull’immagine della donna oltre la bellezza estetica per valorizzarla riportando l’attenzione sul suo ruolo perché, e possiamo dirlo senza retorica guardando alla cronaca quotidiana, è evidente che il percorso di emancipazione iniziato più di un secolo è ancora molto difficile». Immancabile, allora, il celebre dipinto «Sogni» di Vittorio Corcos (1896), con quella giovane lettrice dallo sguardo perso verso il futuro, in vagheggiante attesa di un amore che, forse, è ancora speranza di un domani di indipendenza e libertà.