Le sale del piano nobile di Palazzo Reale si aprono dal 7 aprile al 31 luglio alle creazioni, davvero «regali», di Domenico Dolce (Polizzi Generosa, Palermo, 1958) e Stefano Gabbana (Milano, 1962), fondatori quarant’anni fa di un marchio diventato ben presto un oggetto del desiderio globale ma, prima ancora, formidabili «creatori di sogni». Milano, la città in cui lavorano, rende loro omaggio con la spettacolare mostra «Dal Cuore alle Mani: Dolce&Gabbana», prodotta dallo stesso Palazzo Reale con Img e curata dalla storica dell’arte e storica della moda Florence Müller, che in quelle sale ha voluto ricreare la magia sprigionata dagli abiti dei due creativi. La mostra sarà successivamente protagonista di un tour internazionale che toccherà alcuni dei centri culturali più importanti del mondo. Ne parliamo con la curatrice.
Madame Müller, ha disegnato la mostra con un criterio cronologico, per seguire nel tempo l’evoluzione della creatività di Dolce&Gabbana, o tematico?
Un ordinamento cronologico avrebbe irrigidito il percorso. Volevo invece mettere in luce i temi forti che hanno guidato la loro ispirazione. C’è una sala, per esempio, che rende omaggio al cinema italiano e specialmente a un classico come «Il Gattopardo» (1963) di Luchino Visconti, un film che per loro ha molto contato, anche per l’analisi sociologica che vi è sottesa, con il venir meno della grande aristocrazia terriera e il crescere di una nuova classe sociale. E nel lavoro di Dolce&Gabbana c’è da sempre una forte componente sociologica: loro osservano attentamente le persone, come si muovono, come vivono, che cosa fanno. Un altro tema centrale è la forte presenza dell’arte nei loro abiti: in una sala c’è uno spettacolo immersivo che mostra le ispirazioni tratte da maestri come Caravaggio o Leonardo. Gli abiti, del resto, hanno grande importanza nella grande pittura antica italiana.
L’allestimento avrà un ruolo importante nella mostra. Come l’ha pensato?
È un allestimento molto spettacolare per contestualizzare le loro tematiche e aiutare il pubblico a capire: riflette infatti lo stile di Dolce&Gabbana, che ha un versante fortemente drammaturgico e si connette all’Opera e al teatro oltre che all’arte. Questo è uno dei punti forti della mostra, ma non meno importante (come dichiara anche il titolo: «Dal Cuore alle Mani») è l’omaggio che si è voluto rendere ai mestieri della moda, alla manualità che rende possibile passare dall’idea all’oggetto. Quello dell’alta moda non è un mondo industriale: volevo far capire al pubblico che ci sono un’intelligenza intellettuale e una manuale nella realizzazione dell’alta sartoria o dell’alta gioielleria. I couturier hanno sogni, idee, fantasie, che per essere realizzate hanno bisogno dell’apporto degli artigiani più abili. Si tratta di concettualizzare un oggetto che non esiste e dargli una realtà. E per farlo è indispensabile quel «saper fare» che è così presente in Italia. C’è una sala, per esempio, che evoca l’arte del vetro e qui sono esposti i loro meravigliosi orecchini chandelier (cioè «lampadario», pendenti, Ndr). Credo infatti che la moda possa trasformarsi in una porta d’ingresso al mondo dell’arte per le persone che non la conoscano a fondo.
Quanto ha contato, in questa mostra, la sua formazione (anche) di storica dell’arte?
Certamente ha contato e mi è sembrato di tornare in una delle mie molte estati in Italia, in cerca di antiche chiese e alla scoperta di tante opere d’arte, nelle quali poi (soprattutto nei dipinti barocchi) trovavo abiti meravigliosi.
Che cosa l’ha appassionata maggiormente della creatività di Dolce&Gabbana?
Adoro la bellezza dei dettagli dei loro abiti. E desidero che i visitatori possano vederli da vicino e rendersi conto della grande qualità del tessuto, del taglio, delle finiture; della struttura perfetta di ogni abito come della bellezza dei loro ricami: ciò che non si può vedere durante una sfilata e che qui, invece, si può apprezzare da vicino. Desidero che i visitatori si immergano nella mostra come in un viaggio all’interno della creatività tanto di Dolce&Gabbana quanto degli artigiani che lavorano con loro. In fondo, l’Alta moda è un sogno che trasforma la realtà rendendola più bella.