Maria Letizia Paiato
Leggi i suoi articoliOriginaria di Arsita, piccolo borgo della provincia di Teramo, Donatella Di Pietrantonio è una scrittrice italiana fra le più interessanti del panorama nazionale. Le sue radici culturali, profondamente legate all’Abruzzo, dove vive e lavora, si riflettono nelle storie dei suoi libri. Nel 2011 l’esordio con il romanzo Mia madre è un fiume, ambientato nella terra d’origine; nel 2014 pubblica Bella mia, dedicato e ambientato all’Aquila e legato alla tragedia del terremoto del 2009, testo che le vale la prima candidatura al Premio Strega e con il quale vince il Premio Brancati. L’Arminuta, il suo terzo romanzo, esce nel 2017 e vince il Premio Campiello e il Premio Napoli insieme a molti altri e nel 2021 diventa un film diretto da Giuseppe Bonito, vincitore, nel 2022, del David di Donatello per la migliore sceneggiatura non originale. Nel 2020 pubblica Borgo Sud, altra sua opera selezionata per il Premio Strega (edizione 2021), per il quale è ora nuovamente candidata, su proposta di Vittorio Lingiardi, per L’età fragile del 2023.
L’Abruzzo è la sua terra, che l’ha ispirata nei suoi libri. Come valuta oggi la situazione economico-sociale della sua regione?
Quando ero ragazza non mi rendevo pienamente conto di quanto questo territorio fosse così vario, ma anche raro, per l’unicità che lega il mare alla montagna e viceversa. Risiedo a Penne, un comune collinare della provincia di Pescara: a mezz’ora di strada posso trovarmi sulla costa, oppure, dalla parte opposta, in montagna. È una caratteristica che appartiene a pochi luoghi, eppure la bellezza, questa bellezza, talvolta è data per scontata. Comunque l’Abruzzo è una terra con luci, ma anche ombre. Certamente la regione oggi si mostra aperta alla contemporaneità, ma in questa apertura c’è forse anche un timore di non riuscire a conservare e valorizzare la propria identità. L’identità della regione è complessa, come lo è il territorio. I territori complessi sono spesso anche fragili. Mi preoccupo perché un possibile sviluppo economico deve mettere in rete e d’accordo le nostre tante anime e ciò non è facile.
La cultura s’inserisce in questo contesto?
La cultura dovrebbe essere un volano per lo sviluppo del territorio. Va sostenuta e finanziata innanzitutto dalla politica, ma c’è un pregiudizio diffuso, proprio nella politica, che con la cultura non si mangi. La cultura sembra essere diventata un lusso a esclusivo appannaggio di un’élite, quando invece dovrebbe essere a beneficio e uso di tutti. Servono investimenti importanti.
Qual è il suo sguardo sulle realtà culturali esistenti?
L’Abruzzo vanta un grande patrimonio paesaggistico, storico e archeologico. Ci sono anche musei e teatri e molte compagnie teatrali sul territorio, che lavorano, seppur con grande difficoltà. C’è poi la questione della Film commission, che finalmente pare essere entrata in fase esecutiva, e ciò significa che l’Abruzzo, da set naturale qual è, potrà avere l’attenzione che merita.
Quali sono i luoghi dell’arte che in Abruzzo fanno la differenza?
È soprattutto nei piccoli paesi, nei borghi che si avverte un grande fermento culturale. Si potrebbe proprio dire che qui la sete di cultura è davvero autentica, il desiderio di partecipazione alto. Molto richiesti dalla collettività sono i laboratori teatrali, quelli dedicati alle varie forme di artigianato e arti applicate. Si tratta di attività che non possono essere affidate esclusivamente al volontariato. Dovrebbero essere sostenute nelle agende dei Comuni anche quando non producono profitto immediato, ma un grande benessere collettivo.
La diversità fra entroterra e costa, anche economica e culturale, che ha raccontato in «L’Arminuta», esiste ancora?
Ancora oggi persiste una vita delle aree interne e una vita diversa sulla costa. Aree diverse per attività che marciano a velocità differenti, per le quali non auspico un’omologazione. Certamente l’entroterra non deve cristallizzarsi nel passato, ma nemmeno approcciare il presente con l’aggressività che i processi economici spesso impongono. Sicuramente bisogna inventarsi qualcosa per evitare lo spopolamento, per rendere desiderabile vivere nelle zone più interne e per fare questo è necessario investire prima di tutto nei servizi: sanità, viabilità e connessione.
Com’è il turista tipo e quali sono i possibili sviluppi del settore?
Quando viaggio per i miei libri parlo spesso dell’Abruzzo, anche perché il territorio è molto presente nei miei romanzi. All’estero è ancora poco conosciuto, questo forse è un limite, ma anche, per certi aspetti, una fortuna che ci preserva da un turismo di massa e che a mio parere non è quello cui l’Abruzzo deve tendere. Immagino un turismo lento ma di qualità, un turismo sostenibile, dove fare esperienze e godere di bellezza siano i motori di una crescita e non di mero consumo. Immagino un turista consapevole.
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