Francesco Colombelli
Leggi i suoi articoliRecentemente nominata all’interno della «Power 100» di «ArtReview», Dayanita Singh (Nuova Delhi, 1961) espande la nozione di libro fotografico generando un’opera d’arte. La sua pratica ridefinisce lo spazio tra editoria e arte allargando le possibilità della dimensione fisica dell’immagine. È per questo motivo che nell’ultimo «package» di fotografia di «Il Giornale dell’Arte», «Nuove immagini: l’oggetto fotografico oltre i suoi confini», abbiamo approfondito due pietre miliari del lavoro di Singh, «Museum of Chance» e «Museum Bhavan», con il quale nel 2017 aveva vinto il premio Photobook of the Year a Paris Photo-Aperture Foundation PhotoBook Awards.
Negli ultimi anni, grazie anche al consolidato sodalizio con l’editore tedesco Steidl, la forma libro ha assunto un ruolo centrale nelle sue attività creative. I suoi lavori più recenti, che la stessa Singh definisce «oggetti-libro», hanno molteplici vite e combinano, in un unico prodotto, un libro, un oggetto espositivo, una mostra e un catalogo. Questa trasformazione rompe il confine tra oggetto d’arte e prodotto seriale, consentendo ai suoi libri di esistere simultaneamente in entrambe le sfere. La sua recente pubblicazione Book Building (2022) documenta con immagini e brevi testi i 13 volumi pubblicati con Steidl, insieme a istruzioni dettagliate su come esporli, rendendo il lettore un curatore, oltre a vari interventi performativi, da happening a installazioni e tour.
Attualmente (fino al 31 marzo) alcune sue opere sono in mostra a Venezia presso la piccola ma eccellente galleria Giorgio Mastinu Fine Art. Singh è decisamente un’artista da tenere d’occhio per chi è affascinato dalla flessibilità delle forme del linguaggio fotografico.
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