L’artista saudita Abdulnasser Gharem (1973) è noto per le sue opere politicamente e socialmente impegnate ispirate al mondo islamico. Gharem, che è stato fino a poco tempo fa tenente colonnello nell’esercito saudita, apre la sua prima personale negli Usa al Los Angeles County Museum of Art (Lacma) dal 16 aprile al 2 luglio.
La mostra, organizzata con il King Abdulaziz Center for World Culture, comprende 11 opere, tra cui un nuovo quadro e una nuova scultura, tutte realizzate da Gharem (che abbiamo intervistato) avendo ben presente l’attentato dell’11 settembre al World Trade Center. Due dei dirottatori erano ex compagni di classe di Gharem.
Com’è nata la mostra del Lacma?
Nel 2010 l’organismo per l’arte di cui sono stato cofondatore, Edge of Arabia, ha organizzato una mostra nella Kingdom Tower a Riyadh. Era una piccola esposizione, in uno spazio simile a un corridoio, ma all’improvviso è arrivato il direttore del Lacma Michael Govan. Gli piacevano molto le opere e abbiamo parlato a lungo. Subito dopo il museo comprò una mia opera, il video «The path (Siraat)» (2007). Da allora il museo ha seguito il mio lavoro.
Il Lacma possiede la più grande collezione di arte contemporanea mediorientale negli Usa e, dopo l’Iran, l’Arabia Saudita è il Paese più rappresentato nella sua collezione. Quale pensa sia la ragione dell’interesse per l’arte di questi Paesi?
Credo che l’Arabia Saudita e l’Iran abbiano qualcosa in comune nel senso che qui gli artisti non dispongono di sedi dove possono esporre le loro opere e discutere di certi argomenti. Le leggi sulla libertà di espressione in entrambi i Paesi rendono difficile esporre arte. Lo staff del Lacma ha scovato questi artisti. Ci hanno dato lo spazio per esprimerci senza pressioni o influenze.
La sua mostra arriva in un clima di tensione nei rapporti tra gli Usa e alcuni Paesi mediorientali, con il divieto di ingresso recentemente ristabilito dal presidente Trump. Pensa che sia un momento importante per fare una mostra di questo tipo negli Usa?
Alcune opere riflettono ciò che sta accadendo in Arabia Saudita e negli Usa. Ma non sto prendendo una posizione. Cerco semplicemente di essere uno specchio della mia società. Voglio stimolare le idee e le ideologie delle persone e chiedere loro che cosa pensano.
Recentemente ha aperto il Gharem Studio a Riyadh, che dà agli artisti sauditi uno spazio per lavorare e condividere idee e li aiuta a costruirsi un network di relazioni. Perché lo ha fatto?
In Arabia Saudita non abbiamo un museo e lo studio è un piccolo tentativo. La generazione più giovane del Paese ha molto talento ma nessuno la ascolta. A essere onesto sto imparando da loro. Sono un artista in Arabia Saudita quindi ho bisogno di lavorare su quel che posso fare per dare il mio contributo qui. È una missione, è qualcosa di più che fare semplicemente opere d’arte ed esporle in una galleria.