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«Sokulinda Uzubuye» (2018) di Sethembile Msezane. Cortesia di Osart Gallery e dell’artista

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«Sokulinda Uzubuye» (2018) di Sethembile Msezane. Cortesia di Osart Gallery e dell’artista

Da Osart una boccata di Africa

Dipinti, tappeti e installazioni eterogenee compongono la mostra di cinque artisti africani che eleggono la dimora a luogo metacognitivo

Francesca Interlenghi

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Osart Gallery prosegue l’esplorazione del panorama emergente africano proponendo, dal 2 aprile all’1 giugno, la collettiva «Where Thou Art – That – is Home (Dove tu sei – quella – è casa)». La mostra, accompagnato da un testo critico di Nicolas Ballario, mette insieme i lavori di 5 giovani autori che ragionano sul tema dell’ambiente domestico, trasformando lo spazio in un ideale luogo da abitare. Sono soprattutto le relazioni ad emergere come elemento compositivo centrale degli interni, che non rispondono più e solo a logiche spaziali e costruttive ma istituiscono un dialogo di mutua reciprocità con l’intimità delle persone, aderendo a una concezione della casa come luogo dell’interiorità. Un luogo metafisico nel quale viene meno la distinzione tra passato, presente e futuro e dove il nucleo familiare, il culto e il rispetto degli antenati giocano un ruolo di primaria importanza.

Sono presenze mai estinte che partecipano attivamente allo svolgersi della vite delle generazioni successive. «Dove tu sei –  quella – è casa», recita il verso iniziale di una poesia di Emily Dickinson che dà il titolo al progetto espositivo, a dire che non c’è nessun involucro che separa la presenza dall’assenza, perché lo spazio casalingo, fil rouge di queste narrazioni, diventa un contenitore ibrido che mescola insieme componenti materiali e immateriali. La vivacità del linguaggio figurativo delle opere pittoriche, fortemente espressive e dai colori vibranti, si alterna a lavori di carattere installativo come quelli dell’artista multidisciplinare Sethembile Msezane (Sudafrica, 1991), che interviene su oggetti d’arredo in stile coloniale con fotografie stampate su vetro o con l’applicazione di elementi materici, come finti capelli macchiati di cera, simbolici del ruolo subalterno di governanti cui sono relegate le donne di colore.

Accanto a questi, i tappeti texturizzati di Feni Chulumanco (Sudafrica, 1994), con le figure umane isolate dentro delle specie di teche, rifugio contro i pericoli e le minacce provenienti dall’esterno; i tableaux-vivants di Katlego Tlabela (Sudafrica, 1993), che proponendo un ribaltamento dei principi del colonialismo immagina e raffigura una supremazia del potere nero su quello bianco; le intime narrazioni di Ikeorah Chisom Chi-FADA (Nigeria, 2000), che muovendo dalla ricca e articolata storia della Nigeria la reinterpreta in chiave personale, con accenti di onirismo e misticismo; per concludere con gli interni pop dal gusto retrò realizzati con tecniche serigrafiche e collage da Franklyn Dzingai, (Zimbabwe, 1988) nei quali l’autore inserisce i più svariati oggetti di uso quotidiano (lampade a olio, vinili, vecchi stereo e telefoni a disco), che fungono da ponte ideale tra passato e contemporaneità. Seppur diverse negli esiti formali, le opere raccolte in questa occasione sono tutte accomunate dal desiderio di eleggere la dimora a luogo metacognitivo, dove è possibile approfondire e orientale i pensieri e i processi di riflessione su sé stessi.

«Sokulinda Uzubuye» (2018) di Sethembile Msezane. Cortesia di Osart Gallery e dell’artista

«Monet Studio» (2023) di Franklyn Dzingai

Francesca Interlenghi, 03 aprile 2024 | © Riproduzione riservata

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