Jenny Dogliani
Leggi i suoi articoliIn inglese daydreaming, il sogno a occhi aperti è un’attività di pensiero spontaneo e non deliberato, che sta acquisendo una sempre maggiore rivalutazione e una crescente attenzione da parte di neuroscienziati, filosofi e artisti. Ritenuto per secoli una distrazione irrilevante, il daydreaming coincide in realtà con la capacità sorgiva della mente di andare al di là dell’esistente, per proiettarsi in avanti rilanciando la nostra esperinza di vita senza alcun controllo da parte della ragione. Come confermano le ultime ricerche è un pensiero fortemente visivo e creativo, prossimo a quello artistico, capace di anticipare quanto ancora non c’è e di riplasmare il mondo esistente. La parola a Luigi Fassi, direttore di Artissima.
Artissima invita quest’anno ad ascoltare i propri sogni ad occhi aperti, chiamando a raccolta una comunità di daydreamers, quella degli artisti e di chi accompagna il loro lavoro, per intraprendere un viaggio emozionante alla scoperta del potenziale illimitato della mente umana. Quanto contano nel suo lavoro il daydreaming e la condivisione di sogni?
Il daydreaming è uno strumento potente, cattura l’essenza della nostra persona e delle nostre aspettative per rilanciarle immediatamente in avanti, là dove vogliono arrivare. Sognare a occhi aperti è così progetto e premessa all’azione. A volte, poi, sa anche essere balsamo lenitivo, quando ci allontana dalle ristrettezze del qui e ora e dagli inevitabili limiti cui siamo costretti nella nostra quotidianità. Mi piace pensare che il daydreaming ci aiuti ad articolare una risposta positiva al valore della vita in tutte le sue forme e sia in questo senso uno strumento di grande valore etico. Condividere i sogni a occhi aperti con altri è un gesto straordinariamente intimo e quando accade, ad esempio attraverso l’amicizia, credo segni una svolta nella qualità del rapporto che si può avere con un’altra persona.
Lavorare nel mondo dell’arte era un suo sogno a occhi aperti?
Si lo era. Dagli anni dell’università la proiezione del desiderio mi prefigurava un futuro dedicato a lavorare con gli artisti, a seguire i processi della loro creazione e a respirare la loro concreta capacità di forgiare ciò che ancora non c’è. Il sogno a occhi aperti ritengo abbia questa formidabile qualità di accelerazione nei confronti dei nostri desideri e aspettative, creando un traguardo visibile, un obiettivo da perseguire che si percepisce come prossimo, concreto e realizzabile.
Ricorda un’opera che la ha particolarmente ispirato a sognare a occhi aperti?
Rammento l’impatto che ebbero su me due mostre in particolare, come la Biennale di Venezia del 2001, a cura di Harald Szeeman, che marcò il mio primo incontro con la Biennale. Il daydreaming sembrava materializzato in mostra attraverso le opere presentate, un insieme di immaginari travolgenti che convergevano nel percorso espositivo, quasi non ci fosse più scarto di distanza tra la realtà e la sua proiezione immaginata nel sogno a occhi aperti. Un’esperienza che dopo tanti anni si è rivelata irripetibile. Poi ricordo «Blues for Smoke», una mostra curata da Bennett Simpson assieme a Glenn Ligon nel 2013 al MOCA Geffen di Los Angeles. Era un progetto collettivo che raccontava un’ampia scelta di opere di arte contemporanea, musica, letteratura e cinema attraverso la lente del blues e della sua sensibilità estetica e culturale. La mostra raccontava come una specifica corrente culturale possa essere una forza potente, che anima le nostre biografie dando loro una direzione, una profondità e una traccia che investe la capacità di sognare e reimmaginare la vita stessa.
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