Il recente decreto ministeriale sui canoni di concessione d’uso della immagini del patrimonio culturale pubblico genera confusione. Come a Firenze, dove suscita scandalo la comparsa di qualche bottiglia di limoncello (vanto del Made in Italy) accanto a una fotografia della facciata del Battistero; o come Torino dove titoli di stampa hanno annunciato che «la Mole Antonelliana avrà il copyright, chi userà la sua immagine dovrà pagare». In realtà è facile immagine che quell’Assessorato alla Cultura sappia perfettamente che i ricavi sarebbero inesistenti. E che le misere royalty della Mole le pagherebbero solo torinesi e piemontesi, mentre in compenso crollerebbe la pubblicità generata dall’uso libero di quella iconica immagine. Dalle Alpi alle Piramidi il tema, si dice, è spinoso.
Ma quali sono le spine? Due miti. Uno, appunto, economico, che perfino la Corte dei Conti ha già sfatato. L’altro, più insidioso, è il mito ideologico secondo il quale «pubblico» e «statale» sarebbero in fondo la stessa cosa. È un mito che attraversa gli schieramenti politici, e colpisce al cuore i diritti fondamentali della libertà di espressione, discettando di come si possa istituire una censura preventiva sull’uso sociale delle immagini del patrimonio di tutti, in nome di un indefinibile decoro. Una censura gestita non si sa da quale ufficio in base a non si sa quale norma che stabilisca quale uso sia compatibile e quale no per questa o per quella riproduzione. Un abbaglio, insomma, che genera un bavaglio.
I due miti sono entrambi premoderni. Quello economico, perché continua a credere che la ricchezza sia quella generata dalla rendita parassitaria invece che dagli investimenti. Quello ideologico, perché dello Stato ha e continua ad avere una visione che lo àncora a quel binomio di inefficienza e di ostentazione di muscolarità che suscita da sempre l’ironia dei nostri partner europei. È un mito che non prevede il concetto di cittadinanza e non conosce la Convenzione di Faro, ormai legge dello Stato, la quale ci avverte che non esiste un diritto «del» bene culturale, bensì «al» bene culturale, e che ne sono titolari i cittadini, i quali non possono esserne espropriati. Mentre gli obsoleti articoli del Codice dei Beni culturali che ancora governano la materia si basano su una norma, quella sì inesistente, per la quale scaduto il diritto d’autore la potestà sulle immagini passa a chi ha il possesso reale del bene. Una mostruosità giuridica!
Ma i miti non nascono a caso. Rivelano interpretazioni del mondo, che spesso servono a nascondere le nostre paure. In questo caso un’atavica paura della libertà anch’essa assolutamente premoderna. Infatti il tema spacca anche la cultura giuridica e suscita rigurgiti di ideologie repressive in qualche dotto professore. Ma anche sdegni motivati di fronte ad alcune sentenze di tribunali civili che si sollazzano tra genio italico e surreali diritti all’immagine goduti da innocenti tele dipinte, da marmi e da architetture! Sono problemi resi inutilmente complessi da norme vecchie come il cucco, ignare della rivoluzione digitale e della comunicazione planetaria, i quali invece possono giovarsi di soluzioni semplici.
Tra queste il libero ruolo degli Enti locali che, anche per la loro maggiore vicinanza ai cittadini, potrebbero interpretare il sentimento della parte più attiva e creativa della popolazione: liberare «dal basso» i beni immateriali (che sono beni comuni) in favore di tutti (e ovviamente anche del pubblico erario grazie alla fiscalità generale). Mi auguro che magliette, cartoline e gadget che pubblicizzano nel mondo l’immagine della Mole Antonelliana possano moltiplicarsi producendo un po’ di ricchezza, ma soprattutto possano recare i messaggi della libera creatività che il Cinema ospitato nella Mole sta lì a ricordarci. Sempre a Torino il Museo Egizio dà quotidiana testimonianza del ruolo inclusivo che le istituzioni possono avere nella gestione del patrimonio culturale pubblico. Non resta che sperare che fioriscano le iniziative di Comuni e di Regioni ispirate a quanto alcuni stanno già facendo: ad esempio Verona, dove si lavora a un regolamento che liberalizzerà l’uso delle immagini dei beni culturali del Comune. Sarà un modo di mettersi dalla parte degli italiani, gettando alle ortiche ogni stolida idea di imporre tasse sulla libertà di ispirazione.
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