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Un’opera della mostra «Canova | Thorvaldsen» alle Gallerie d’Italia di Milano. Foto: Flavio Lo Scalzo

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Un’opera della mostra «Canova | Thorvaldsen» alle Gallerie d’Italia di Milano. Foto: Flavio Lo Scalzo

Ci manca il grande circo delle mostre

Rimpiangiamo persino quelle brutte e fatte male

Alessandro Morandotti

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Nello stato di emergenza sanitaria che stiamo vivendo, il mondo della cultura e dell’arte si mobilita e l’impossibilità di muoversi attiva la fantasia della rete che offre molte occasioni di approfondimento, oltre a quelle già ben sperimentate. Purtroppo però, tra libri e risorse del web, manca il fondamentale corpo a corpo con le opere, quella forma di necessaria esperienza personale davanti ai testi figurativi in carne e ossa che non si sa come sostituire. Non è proprio la stessa cosa, ma si prova qualcosa di analogo alla carenza di socializzazione per la prolungata quarantena.

Rimpiangiamo i musei e le biblioteche aperti, e anche, lo dichiaro apertamente, il grande circo delle mostre, anche se qualcuno potrà pensare che era una moratoria necessaria di fronte al dilagare di iniziative affrettate e avventuriste. Sì, ci mancano le occasioni espositive, persino, almeno in questa occasione di penuria, quelle brutte e fatte male.

Le mostre, specie quelle fatte bene, permettono occasioni di incontrare opere sconosciute, di verificare, con il confronto diretto, accostamenti che abbiamo immaginato o visto sui libri, resi possibili dalla temporanea compresenza di opere conservate in luoghi diversi. Oppure ci invitano a vedere meglio opere inaccessibili o in collocazioni penalizzanti.

Se poi si valuta quali imprevisti abbiano travolto alcune iniziative anche molto attese, ci si renderà conto di quanto stiamo perdendo, di quanto sia augurabile che tutto questo finisca per la nostra salute ma anche per le esigenze del nostro occhio. Basterà pensare che alcune mostre inaugurate anche da poco sono chiuse, altre che dovevano aprire e sono pronte persino nell’allestimento non sono mai state aperte, altre, giunte alla scadenza naturale del periodo di apertura, non riescono a chiudere, perché è impossibile il disallestimento. Quest’ultimo è il caso paradossale della mostra Canova-Thorvaldsen vista alle Gallerie d’Italia a Milano, una rassegna bellissima e davvero importante, montata con maestria e ricchezza di mezzi. Chissà quando le opere potranno di nuovo viaggiare nella loro sede di origine.

Sono riuscito a vedere, nei giorni dell’inaugurazione, la mostra encomiabile dell’Accademia Carrara dedicata dalla città di Bergamo a Simone Peterzano, il pittore a lungo schiacciato tra l’incudine della fama del maestro, Tiziano, e il martello del talento del suo prodigioso allievo, Caravaggio. Riemerge ora grazie a quella mostra come un artista indipendente, pienamente immerso nel tardo Manierismo lombardo, capace di reinterpretare molto liberamente, e con severo spirito tutto milanese, le fiamme cromatiche dei maestri veneziani della generazione precedente alla sua.

Riusciremo poi a vedere la mostra di Raffaello alle Scuderie del Quirinale, dove sono raccolti copiosi gli originali del maestro provenienti da tutto il mondo? È quello che ci si augura.

Al contempo, in modo quasi paradossale, escono i cataloghi prima che alcune mostre importanti previste nel mese di marzo aprano, con un anticipo insolito, specie nel panorama italiano, dove si lavora con l’acqua alla gola e si rimanda fino all’ultimo minuto il visto si stampi.

Le opere in qualche caso sono già sulle pareti, o comunque sono arrivate nelle sedi espositive da tutto il mondo e pronte a essere disposte nelle sale, ma le inaugurazioni sono state rimandate.

Ce la faremo presto a vedere l’attesa mostra dedicata a visualizzare la sfida alla magniloquenza del Barocco da parte degli artisti di propensione più classicista attivi tra Roma, Parigi e Torino tra la fine del Seicento e il Settecento, pronta nei minimi dettagli nelle sale della Venaria Reale?

Ancora, potremo valutare la nuova aggiornata ricostruzione del Polittico Griffoni già nella Basilica di San Petronio a Bologna, uno dei capisaldi della cultura artistica quattrocentesca tra Bologna e Ferrara, i cui elementi noti sono dispersi nelle collezioni pubbliche di mezzo mondo e sono ora stati richiamati al piano nobile di Palazzo Fava a Bologna, pronti a uscire dalla casse con cui hanno viaggiato?

Poi, e mi riguarda direttamente in qualità di curatore, mi auguro che apra presto la mostra destinata a mettere a fuoco la nascita nel pieno Seicento del Palazzo e dei giardini dell’Isola Bella, al centro dei domini Borromeo sul Lago Maggiore, un cantiere che proietta Milano tra i luoghi cruciali della maturazione in Italia del Barocco, che sorprenderà spero chi crede a una gerarchia dei centri artistici ormai invecchiata.

Armiamoci di pazienza, auspicando di potere presto riprendere a girare, a guardare, a fare incontri, anche nel campo della storia dell’arte.
 

Alessandro Morandotti, 11 aprile 2020 | © Riproduzione riservata

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