Veduta dell’installazione «Monte di Pietà» di Christoph Büchel, Fondazione Prada, Venezia

Foto: Marco Cappelletti. Cortesia di Fondazione Prada

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Veduta dell’installazione «Monte di Pietà» di Christoph Büchel, Fondazione Prada, Venezia

Foto: Marco Cappelletti. Cortesia di Fondazione Prada

Christoph Büchel: l’arte non sa opporsi al potere

L’artista svizzero trasforma la sede veneziana della Fondazione Prada in un’installazione immersiva per esplorare il tema del debito come strumento attraverso cui viene esercitato il potere politico e culturale

Cerco l’entrata della Fondazione Prada ma non la trovo, al suo posto c’è l’insegna «Compro e Vendo Oro, Argento e Diamanti». L’intero palazzo veneziano di Ca’ Corner della Regina è stato trasformato dall’artista Christoph Büchel (Basilea, 1966) in occasione della sua mostra «Monte di Pietà» (fino al 24 novembre).

Sviluppata come un’installazione immersiva, la mostra riflette sulla storia stratificata del Palazzo: dimora di Caterina Cornaro regina di Cipro, poi Monte di Pietà (ossia una di quelle istituzioni senza scopo di lucro nate in Italia nel XIV secolo per concedere piccoli prestiti a persone in difficoltà economica, operando al confine tra un banco dei pegni e una banca) in mano ai Padri Cavanis, successivamente sede dell’Archivio Storico della Biennale di Venezia, e oggi spazio espositivo della Fondazione Prada. In questa mostra Büchel esplora il tema del debito come strumento attraverso cui viene esercitato il potere politico e culturale.

Nel primo salone si trova la ricostruzione storica del Monte di Pietà: tre file di sedie rosse sono rivolte verso il bancone principale. Si ha subito la sensazione di essere inghiottiti da una quantità innumerevole di oggetti che traboccano dalle stanze adiacenti, come se fossero i beni in pegno accumulati. Sempre nella prima sala, sul retro, si vede un ambiente spoglio che somiglia a un ufficio, con santini appesi al muro e un numero della rivista «Vogue» aperta sull’intervista di Miuccia Prada intitolata «“Fedele a Me Stessa”, vuole creare cultura ed “essere utile”». Accanto, c’è un’ape car rosa, un veicolo pubblicitario a noleggio con affisso il manifesto «Urgent call for radical action: Stop the Venice Art Biennale Now!!», che invita a un’azione radicale collettiva per abolire la Biennale e reindirizzare i fondi del turismo e degli eventi culturali al supporto delle comunità locali. Il manifesto rievoca anche le proteste del 1968, durante le quali gli artisti e i curatori, tra cui Germano Celant, criticarono la commercializzazione della Biennale e rimarcarono la necessità di preservarne lo spirito artistico. 

Büchel mette in discussione il desiderio di «essere utile» espresso dalla collezionista, esplorando la connessione tra la quasi-santità di Miuccia Prada e il ritratto di Caterina Cornaro realizzato da Tiziano nel 1542 ed esposto in mostra. Nel dipinto, la regina di Cipro è raffigurata nelle vesti di Santa Caterina da Siena.

In una stanza laterale, sempre al pian terreno, l’artista svizzero presenta una ricostruzione dell’ospedale di Al-Shifa a Gaza: un ambiente ricoperto di polvere e detriti, sacchi di cemento e illuminato da una luce intermittente. La critica istituzionale di Büchel si è contraddistinta in passato per le sue forme imponenti e iperrealistiche. Nel 2019 ha scatenato numerose controversie per aver esposto alla Biennale di Venezia «Barca Nostra», il barcone tragicamente affondato nel 2015 che causò la morte di circa 1.100 migranti. Una chiamata di responsabilità collettiva, in contrasto con l’idea di libera circolazione promossa dalla Biennale.

Veduta dell’installazione «Monte di Pietà» di Christoph Büchel, Fondazione Prada, Venezia. Foto: Marco Cappelletti. Cortesia di Fondazione Prada

Büchel sembra voler dimostrare l’inefficacia dell’arte nel porsi come forza d’opposizione al potere e i suoi abusi. In passato ha sostenuto come l’arte contemporanea «è più concentrata sullo spettacolo e sull’ironia che non sullo smantellamento critico delle strutture oppressive che minacciano le vite delle persone più vulnerabili».

Proseguendo la mostra al piano superiore, l’artista prova a empatizzare con i residenti veneziani, esprimendo il senso di perdita della città, che da gioiello di cultura è diventato un parco giochi per ricchi. In una stanza, che ricorda un casinò con tavoli da gioco, sono appese magliette a righe e un poster del film «The Venetian Affair» del 1967. Alcune lettere d’amore scritte a mano sono esposte vicino a uno stanzino illuminato di rosso, con un divano e un palo per pole dance. Qui l’artista evidenzia il contrasto tra i due tipi di relazione, una intima e personale, l’altra economica. Tutto ciò è accompagnato dalla canzone «Pin Floi» del gruppo reggae veneziano Pitura Freska, che richiama il concerto dei Pink Floyd del 1989, un evento sensazionale ma che suscitò polemiche per via delle povere condizioni in cui lasciò la città.

Al terzo piano, sono appese armi da fuoco, a fianco agli stemmi della città di Bengasi e della Tripolitania, un richiamo all’occupazione coloniale italiana. Qui l’artista riflette su come il sistema del debito e la nascita della moneta siano storicamente legati alla gestione del potere, che ne permette l’espansione e l’accumulazione. «La Biennale è Fascista»: si legge dietro un dipinto esposto in mostra. La critica di Büchel trova un interessante parallelo con gli eventi che nel 1968 portarono a una rielaborazione dei valori promossi dalla Biennale e dal sistema dell’arte. Su una scrivania sono esposti i libri e le riviste relativi a quel periodo, quando gli artisti si unirono alle proteste studentesche, chiudendo i loro padiglioni, rigirando le loro opere o, nel caso dell’artista Gastone Novelli, scrivendoci dietro: «la biennale è fascista».

Nella stessa stanza è esposta anche l’opera «The Diamond Maker» (2020-): una valigetta contenente diamanti sintetici prodotti in laboratorio da Büchel a partire dal 2020 utilizzando le sue opere invendute. La distruzione delle sue opere e la loro trasformazione in diamanti riducono il loro valore da simbolico o artistico a puramente economico, in oggetti di valore uguali e indistinguibili. L’operazione di distruzione delle opere, per conferire loro un altro tipo di valore, si lega bene all’idea di distruzione delle Biennale che circolava in quegli anni: «I padiglioni alla Biennale di Venezia devono essere distrutti, e i Giardini devono essere restaurati al loro stato primordiale», così disse Celant nella riunione che, a seguito alle proteste studentesche del ’68, fu organizzata per proporre una rivalutazione del ruolo dell’istituzione.

Nonostante le proteste del ’68 abbiano contribuito a costruire una nuova immaginazione culturale e incoraggiato l’idea di collettività, la posizione di Christoph Büchel nei confronti dell’arte sembra escludere ogni tipo di redenzione o potenziale trasformativo per la società.

Luciana Fabbri, 07 maggio 2024 | © Riproduzione riservata

Christoph Büchel: l’arte non sa opporsi al potere | Luciana Fabbri

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