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Giorgio Calcagnini, rettore dell’Università di Urbino Carlo Bo

Foto: Università degli studi di Urbino Carlo Bo

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Giorgio Calcagnini, rettore dell’Università di Urbino Carlo Bo

Foto: Università degli studi di Urbino Carlo Bo

Calcagnini: «Nelle Marche siamo in crescita, ma ancora troppo slegati»

Secondo il rettore dell’Università di Urbino Carlo Bo bisogna rafforzare il sistema turismo: fare sinergia tra le varie amministrazioni per promuovere l’intero territorio, incrementare i trasporti e l’intera regione deve diventare rete

Stefano Miliani

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«Il turismo è sì un’opportunità, ma potrebbe trasformarsi in un rischio se non gestito correttamente. In altre parole, non ci si può svendere. Nelle Marche bisognerebbe rafforzare il “sistema turismo” mettendo insieme le tantissime realtà culturali espressione dei territori che caratterizzano la nostra regione. Anche se negli ultimi dieci anni almeno la politica ha avuto una sensibilizzazione maggiore, spesso le amministrazioni continuano a muoversi in maniera indipendente tra loro». Così dice Giorgio Calcagnini, economista di lungo corso, studioso dal denso curriculum italiano e internazionale, rettore dell’Università degli Studi di Urbino Carlo Bo. 

Accanto alle attività accademiche è stato ed è presente in numerose iniziative e in istituzioni culturali (per esempio nel cda del Rossini Opera Festival di Pesaro dal 2016 al 2020). Nato nella città urbinate nel 1956, Calcagnini è ordinario di economia politica: ha studiato ad Ancona, all’epoca sede distaccata dell’Università di Urbino. Si è laureato nel 1980. Ha lavorato a Roma, prima all’Istituto per lo studio della congiuntura (Isco), successivamente al Centro Studi Confindustria, poi nel 1988 ha vinto un concorso da ricercatore e nel 2004 è diventato professore. Guiderà l’ateneo fino al 31 ottobre 2026. 

Professore, qual è la sua valutazione sul turismo culturale nelle Marche? 
Secondo me come sistema turistico regionale dobbiamo fare uno sforzo maggiore per promuovere i nostri territori. Quando vedo che il castello di Gradara, pur con l’indubbio vantaggio di essere vicino alla costa e, quindi, ai turisti della stagione estiva, ha più visitatori del Palazzo Ducale di Urbino mi viene il dubbio che ci sia qualcosa di sbagliato. Non è un problema della singola istituzione, è del sistema: bisognerebbe raggiungere una maggiore integrazione tra le diverse proposte. I turisti vengono a Urbino, ma spesso è un «mordi e fuggi» e temo sia così per altre realtà, soprattutto dell’entroterra. Bisognerebbe invece valorizzare l’intero territorio con un’offerta turistica che promuova, ad esempio, il Montefeltro. Qui anche nelle chiesette troviamo quadri e affreschi bellissimi, incredibili. Ad esempio, a Mercatello sul Metauro la Chiesa di San Francesco ha un affresco di pregio del Trecento restaurato e molto bello, senza dimenticare la pala di Giovanni Santi nel Convento di Montefiorentino nel Comune di Frontino. Mi piace anche fermarmi all’abbazia di San Vincenzo del X secolo, poco fuori della Gola del Furlo, sulla Flaminia: è bellissima, spoglia, dentro si colgono vibrazioni che in altre chiese non si colgono, forse per la semplicità che riporta a valori religiosi particolari. Soprattutto negli ultimi dieci anni, la politica ha avuto una sensibilizzazione maggiore sia a livello regionale sia locale nel capire che il turismo culturale è una risorsa, crea posti di lavoro e ricchezza, aiuta a mantenere le persone sul territorio. Però molte volte quel turismo si muove in maniera indipendente mentre servirebbe favorire la collaborazione e la sinergia, quel sistema turismo di cui ho fatto cenno più sopra. Bisognerebbe «vendere», scusi il termine, non solo Urbino o Loreto, ma le due città insieme, coinvolgendo nel progetto anche le altre realtà territoriali più o meno contigue. Va fatto quindi un ulteriore passo avanti, rispetto alla situazione attuale, per far emergere una proposta forte e d’insieme che possa essere maggiormente d’appeal per il turista.

Come in buona parte d’Italia si guarda troppo al proprio campanile?
Sì, ma non è solo il campanile. Qui c’è un tema anche economico: abbiamo imprese piccolissime che si muovono indipendentemente, è molto forte l’idea dell’individualismo. Può essere un valore, ma nel contesto attuale è un limite, la forza si crea mettendosi in rete con altre imprese se non si riesce a raggiungere dimensioni maggiori. 

E nelle aree interne?
Nelle Marche, ma il fenomeno è più generale, si osserva da anni una progressiva diminuzione dei residenti dovuta, in parte, alle minori opportunità di occupazione rispetto alla costa, ma anche alla minore qualità e quantità dei servizi. Nell’entroterra vedo anche come quei territori siano poco serviti dai servizi moderni: il cellulare spesso non prende, è più complicato avere linee veloci per internet, è un circolo vizioso: diminuisce la popolazione, diminuiscono le attività commerciali, chiudono o accorpano le scuole e si riducono i collegamenti. Se vogliamo se non altro bloccarne lo spopolamento uno sforzo maggiore va rivolto proprio alle aree interne. Qui spesso i Punti Iat (Informazione accoglienza turistica, Ndr) fanno fatica a restare aperti durante tutto l’anno perché mancano le risorse. Per incentivare il turismo e valorizzare al meglio il patrimonio naturale, storico, artistico e culturale della nostra regione, e in particolare delle aree interne, è necessario investire su questo settore.

Le qualità principali dei marchigiani?
Sono la determinazione, i rapporti molto diretti tra le persone, la capacità, come in Italia, di mettersi insieme nelle difficoltà. Penso al terremoto, all’alluvione. Però questa qualità emerge soprattutto in casi d’emergenza. Nel programmare siamo un po’ più deboli.

Citando l’alluvione, quella di Senigallia del settembre 2022 ha evidenziato un fattore esteso a tutta la penisola: nei decenni si è costruito troppo e dove non si doveva. 
Anche vicino a Urbino, nel bacino di Cantiano, c’è stata l’alluvione. È facile rispondere che ci vorrebbero più investimenti e un’attenzione maggiore sul territorio. Ma il problema nel corso degli anni è diventato più complesso. Ad esempio, mi è stato raccontato che è diventato complicato tenere pulito il letto dei fiumi e lo sviluppo arboreo delle sponde. Non è stato più possibile, se non dopo situazioni alluvionali, l’utilizzo di legna di recupero per altri utilizzi e quindi è venuto meno l’incentivo da parte dei privati (autorizzati) di un’azione di manutenzione degli alvei fluviali. Si sono venute così a creare in molti casi delle barriere «naturali» e in occasione di piogge superiori alla media alcuni fiumi/torrenti hanno esondato. Stiamo vivendo un passaggio climatico caratterizzato da eventi estremi e le piogge concentrate in un arco di tempo molto breve generano una pressione sui bacini fluviali che in passato non esisteva. 

Gli studenti universitari fuori sede rappresentano una risorsa economica e culturale per i luoghi che li accolgono. Pensando agli atenei di Urbino, Macerata, Camerino, alla Politecnica delle Marche, esistono in regione le stesse difficoltà di accoglienza come accade in più città?
No, credo che la risposta marchigiana sia positiva. A Urbino, Macerata e Camerino la presenza degli studenti è fondamentale per la vita economica. Ancona ha il porto, le attività industriali, per cui il contributo degli studenti alla creazione di reddito è relativamente inferiore rispetto agli altri centri universitari, ma non per questo vanno trascurati. Urbino ha una presenza media di studenti fuori regione più alta rispetto alle altre città, che in parte è stata favorita dagli investimenti fatti nel passato sulle residenze universitarie. Sul tema delle residenze la sensibilità è cresciuta anche a livello ministeriale e, di conseguenza, tutti e quattro gli atenei hanno ricevuto finanziamenti per aumentare la ricettività. Tra l’altro esiste una forte collaborazione tra i quattro atenei e, grazie anche alla collaborazione con le altre università di Umbria e Abruzzo, ci si presenta come un sistema formativo unico dell’Italia centrale. Proprio in questo periodo stiamo lavorando a una campagna di orientamento per i nuovi studenti per dire «venite a studiare al Centro». Nell’ambito della ricerca abbiamo vinto dei progetti del Pnrr. Salvaguardando la peculiarità di ogni singolo ateneo, stiamo cercando di mettere a sistema le nostre potenzialità per superare le debolezze e questa politica sta funzionando bene. Abbiamo un obiettivo che è quello di evitare che i nostri giovani vadano a studiare in altre regioni, soprattutto al Nord, da dove poi difficilmente torneranno nei nostri territori.

Quanti sono in totale gli studenti universitari nelle Marche?
Circa 44mila, di cui 26mila sono donne.

Urbino, cortile interno di Palazzo Ducale. Foto: Stefano Miliani

Quest’anno Pesaro è Capitale italiana della cultura: quali sono i benefici per la regione? Più visibilità?
Certo, è sicuramente un elemento aggiuntivo. C’è stata una valorizzazione di tutto il territorio provinciale, il che è più coinvolgente. Credo però che le Marche siano già conosciute in Italia e all’estero, la difficoltà è raggiugerle. 

A parte sulla costa, il treno è quasi assente. 
Sì, non esiste. Sono anni, ad esempio, che si parla di riattivare la linea Fano-Urbino, anche solo per motivi turistici, qualche bel progetto, ma nient’altro. Quando da neolaureato lavoravo con il mio professore di economia dei trasporti, più volte provocatoriamente dicevo che sarebbe stato bello riattivarla. Lui rispondeva: siamo economisti, dobbiamo tener conto che le risorse sono limitate e la riattivazione della linea Fano-Urbino avrebbe costi superiori ai benefici. Dopo più di 40 anni, sembra che avesse proprio ragione lui. 

Però nella penisola investimenti cospicui sulla Tav, come la Napoli-Milano, fino a Torino, non sono mancati. 
Infatti ogni tanto per andare a Roma passo da Pesaro e prendo l’alta velocità a Bologna perché ho molte più opzioni, mentre da Ancona sono molto limitate. 

Come valuta lo stato delle Marche meridionali?
Le province a sud di Ancona sono economicamente vivaci, con molte punte di eccellenza, ma negli ultimi anni hanno risentito degli effetti del sisma del 2016 che si sono sovrapposti alle criticità di cui dicevo prima per la regione nel suo complesso.

A questo proposito come giudica la ricostruzione? Pensiamo al gioiello del centro storico di Camerino che ancora non ha ripreso vita.
È stato fatto tanto, a Camerino l’università ha continuato le proprie attività di didattica, ricerca e di terza missione anche nell’immediato post sisma, però il centro storico è ancora prevalentemente chiuso e i tempi di un ritorno a prima del sisma sembrerebbero incerti. 

L’archeologia potrebbe attirare di più? 
Le Marche hanno tantissimi siti archeologici e geologici di grande interesse culturale come, ad esempio, la Gola del Furlo o la Valle dei Principi recentemente scoperta a Urbania. Per valorizzare queste realtà è necessaria quella cultura di fare sistema di cui ho parlato all’inizio di questa intervista. Una collaborazione tra istituzioni e operatori turistici che produca un’offerta che coniughi storia, arte, archeologia, natura con i prodotti dell’agroalimentare tipici della nostra regione: diversi tipi di pasta, formaggi, salumi, olio, vini.  Nei primi anni Settanta sulle colline (le Cesane) intorno a Urbino nacque una delle prime coltivazioni in Italia di grano biologico che prese il nome di Alce Nero. Gino Girolomoni, che di quella esperienza fu ispiratore, recuperò anche il monastero di Montebello dove organizzava incontri culturali con scrittori, poeti, politici, proponendo uno dei primi modelli di sviluppo che oggi etichettiamo come sostenibile.

Non auspica un turismo con migliaia di persone che si riversano in un luogo e poi se ne vanno via in fretta, vero? 
No, certo, il turismo è un’opportunità e un rischio se non è gestito bene. Qua a Urbino vedo le scolaresche e una disattenzione incredibile verso la città: i ragazzi mangiano, buttano le carte per terra, nessuno dice loro di non farlo o di raccoglierle e questo fa male. 

Quali monumenti e opere d’arte sono a lei più cari?
Essendo nato e cresciuto a Urbino direi Palazzo Ducale. Da adolescente la domenica mattina avevo preso l’abitudine di visitare il museo della città con qualche amico, anche grazie al fatto che l’entrata era libera. Il Palazzo mi è sempre sembrato quasi magico. Magari allora non capivo il valore delle opere, ma piano piano i messaggi dell’arte e dell’architettura hanno plasmato la mia sensibilità e sono diventati parte del mio bagaglio culturale. Tra le opere presenti a Palazzo Ducale, a parte la «Muta» di Raffaello, mi ha sempre affascinato la «Flagellazione» di Piero della Francesca: un quadro allo stesso tempo di grande impatto visivo e misterioso.

Un luogo che non sia la sua città?
Loreto, il luogo dell’anima, indipendentemente dal fatto di essere cattolico. Sono stato presidente della Cassa di Risparmio di Loreto per un paio di anni e, ogni volta che ne avevo l’opportunità, visitavo la basilica della Santa Casa per riflettere e riscoprire me stesso in un modo che non mi è stato facile trovare altrove.

Stefano Miliani, 21 giugno 2024 | © Riproduzione riservata

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