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British anti brexit

Il direttore del museo prepara un radicale riallestimento: «Il 37% delle aree geografiche che presentiamo (Africa, Oceania, Australia e Sudamerica) è quasi del tutto assente nelle altre collezioni pubbliche. Dobbiamo rendere giustizia a queste culture» 

Martin Bailey

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Hartwig Fischer (Amburgo, 1962), direttore del British Museum di Londra, ha reso noti i programmi di quella che potrebbe essere la più radicale metamorfosi dell’allestimento della collezione permanente del museo dalla metà del XIX secolo. Verranno riuniti i manufatti greci e romani, attualmente suddivisi su due piani, e saranno presentati molti più reperti dall’Oceania e dal Sudamerica. Questo intervento potrebbe coinvolgere il riallestimento di metà delle quasi cento sale del museo. Il percorso sarà quindi meno incentrato sull’Europa e leggermente meno denso, per facilitare i visitatori. La programmazione è ancora in fase iniziale, ma i lavori inizieranno dopo l’apertura in novembre delle nuove gallerie cinesi e dell’Asia del sud e di una galleria dell’Islam dal mondo nel 2018.
Fischer ha inoltre dichiarato che la collezione del museo attualmente in deposito, che conta più di due milioni di pezzi, sarà trasferita per la prima volta in una sede fuori Londra. Il direttore spera di collaborare con un’università che abbia un forte dipartimento archeologico per poter creare un centro di ricerca di livello mondiale.

Lei è diventato direttore ad aprile 2016, come successore di Neil MacGregor. Quali cambiamenti ha in programma?

La mia priorità è assicurare che i visitatori abbiano l’opportunità di interagire con le culture di tutto il mondo. Ora ci si fa un’idea di alcune culture, ma non è facile averne una comprensione globale. La ragione è che queste collezioni molto spesso sono separate. Prendiamo l’Egitto: le sculture sono al piano terra, ma le mummie e gli oggetti più piccoli, che spiegano molto sulla fede, la società e la vita quotidiana di quel popolo, si trovano al piano superiore. Lo stesso vale per le gallerie di Mesopotamia, Grecia e Roma; anche qui i reperti sono su due piani.

Questo vuol dire che riallestirà la collezione permanente?

Sì. L’Egitto sarà al piano terra. Il progetto è ancora in fase iniziale ma stiamo valutando la possibilità di concentrare di più le culture antiche su questo piano.

Dove andranno i classici greci e romani?

Stiamo discutendo la data limite che separerà i due piani. Ma dobbiamo prendere in considerazione tutto il mondo, non solo l’Europa. Tutto questo è molto stimolante perché porta a ripensare al museo e a definire il suo posto in questo mondo in continuo cambiamento.

Che cosa ne sarà delle aree geografiche che sono poco rappresentate nelle collezioni pubbliche?

Circa il 37% delle aree geografiche presentate al British Museum è in parte o quasi del tutto assente nelle altre collezioni pubbliche: Africa, Oceania, Australia e Sudamerica. Le nostre collezioni in queste zone sono molto forti e dobbiamo renderle più accessibili. Dobbiamo rendere giustizia a queste culture. Nelle gallerie africane abbiamo degli allestimenti molto eleganti. Per le altre aree invece siamo ancora ben lontani da quello che noi e i nostri visitatori vorremmo vedere. Lo stesso vale per la preistoria, un’altra collezione importante di cui va messo in evidenza al meglio il ruolo di punto di partenza nello sviluppo dell’umanità.

Dove troverete lo spazio?

Dobbiamo lavorare con gli spazi esistenti, ma questo ci aiuterà a concentrarci su quello che riteniamo essenziale. Dovremo ricalibrare la scelta degli oggetti da esporre per due ragioni. Primo, per ottenere una presenza più equilibrata delle culture del mondo. Secondo, perché potrebbe essere più semplice per i visitatori apprezzare circa 49mila oggetti invece dei 53mila attualmente presenti. La domanda è: come possiamo servire al meglio i nostri visitatori e la loro capacità di assorbire le informazioni esponendo il giusto numero di pezzi?

Pensa a un allestimento leggermente meno denso con meno oggetti?

Assolutamente sì, dobbiamo pensarci, ma non è ancora stata presa una decisione. Prendiamo la galleria A.G. Leventis sull’antica Cipro, ad esempio. Quando ci si arriva dalle vicine, e molto «piene», gallerie sugli Etruschi e i Greci in Italia, si respira una boccata di ossigeno. La galleria Sir Joseph E. Hotung sulla Cina e l’Asia del Sud e del Sud-Est, che verranno ripensate, conterranno qualche pezzo in meno, ma saranno presentate meglio. Alcuni spazi potranno essere più densi, altri invece più ariosi.

Ha in mente degli allestimenti tematici?

Oltre che per le mostre temporanee, nella collezione permanente dovrà esserci lo spazio dove affrontare temi di più ampia portata e cambiare il modo in cui si guardano gli oggetti, per consentire ai visitatori di confrontare culture ed epoche diverse.

Può fare degli esempi di possibili temi?

Com’è strutturato l’amore nelle diverse società? Come si sviluppa la fede? Come si mantiene la coesione sociale e che cosa la distrugge? Qual è l’impatto della tecnologia? E come viene affrontata la morte?

Sono temi forti, ma il vostro pubblico è molto eterogeneo. C’è il pericolo di risultare offensivi o al contrario troppo morbidi.

Sicuramente. Chi racconta le storie nel museo e da quale prospettiva? Non possiamo adottare un punto di vista esclusivamente europeo. I visitatori devono capire com’è nato questo museo e com’è diventato quello che è oggi. Dobbiamo dire da dove vengono gli oggetti e come sono arrivati qui. Ci sono tanti aspetti meravigliosi di questo museo, che possiede le più grandi collezioni delle culture mondiali, ma esistono anche dei punti critici. Dovremmo avere l’onestà di occuparcene.

Ci sarà quindi un radicale riallestimento della collezione permanente?

Ci saranno molti cambiamenti. Ma ora non sono nella posizione di dire quanti.

Quali sono i suoi progetti per la Reading Room?

La Reading Room dev’essere una parte integrante del museo, un luogo in cui i visitatori possono approfondire la loro conoscenza sulla lettura degli oggetti. Naturalmente, sto parlando in senso metaforico. Dovrebbe essere uno spazio dove comprendere in sintesi di che cosa si occupa il nostro museo. Da qui si parte poi alla scoperta delle altre parti del museo per esplorarle in maniera più approfondita.

Parliamo dei depositi, dove si trova la maggior parte della collezione del British. Il governo ha deciso che la Blythe House, nella zona ovest di Londra, dove condividete lo spazio deposito con il Victoria and Albert Museum e con lo Science Museum, verrà chiusa e saranno dati 150 milioni di sterline (163,6 milioni di euro) ai tre musei. Questa cifra verrà erogata in proporzione allo spazio occupato?

Noi avremo 50 milioni di sterline (circa 54,5 milioni di euro, Ndr). Il nostro primo obiettivo sarà quello di spostare più di due milioni di oggetti dalla Blythe House. È una sfida difficile ma anche un’opportunità fantastica per analizzare il materiale presente.

Dove lo sposterete?

Stiamo cercando un posto fuori Londra, che ci consentirà di lavorare a più stretto contatto con un’università, in modo che le nostre collezioni siano più accessibili alla ricerca. Non so dirvi dove. Vogliamo creare quella che chiamiamo Arc: la British Museum’s Archaeological Research Collection. Questo ci aiuterà a lavorare sulla nostra collezione e a renderla accessibile al pubblico a un livello completamente diverso. Ci consentirà inoltre di essere molto più efficienti nella condivisione della nostra collezione attraverso prestiti.

Per concludere, quale impatto pensa che avrà la Brexit sul museo?

È troppo presto per dirlo. È un processo in divenire e nessuno sa dove ci porteranno le negoziazioni. La Brexit farà una differenza fondamentale. L’ha già fatta. Ci sta costringendo a pensare a dove stiamo andando e a come mantenere e approfondire i nostri legami con il resto d’Europa, con l’Africa, le Americhe, l’Asia e l’Australia. Il Regno Unito deve trovare un giusto equilibrio tra vivere in strutture di partnership e andare per la sua strada, in un’epoca in cui i temi e le sfide principali sono diventati globali. Questi problemi si possono affrontare solo in una cooperazione ben strutturata con gli altri. È una realtà irreversibile. Le partnership danno grandi opportunità e potere, ma anche grandi obblighi e responsabilità. Come scrisse il poeta John Donne: «Nessun uomo è un’isola, completo in se stesso…». Il British Museum è un luogo dove capire come le culture sono sempre state splendidamente, e a volte dolorosamente, strettamente connesse.
 

Martin Bailey, 01 ottobre 2017 | © Riproduzione riservata

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