Alighero Boetti nella sua casa di Prevo

Cortesia di Agata Boetti

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Alighero Boetti nella sua casa di Prevo

Cortesia di Agata Boetti

Boetti: «Gianni, prendi quest’opera. Diventerò famoso»

La mostra a Vernazza è l’occasione per ripercorrere, con l’amico Gianni Viacava, gli anni in cui l’artista frequentava il borgo ligure

Tra le Cinque Terre e l’Arte povera sembra esserci una trama di fili e connessioni che partono dalla vicina Genova (dove nel 1940 nacque il teorizzatore del movimento, Germano Celant, che nel 1967 presso la genovese Galleria Bertesca organizzò la mostra «Arte povera-Im Spazio») e attraversano i sentieri a picco sul mare. Quest’anno tocca a Otp-Orizzonte Terzo Paradiso mettere in scena queste vicende: il progetto interdisciplinare, curato da Ilaria Bernardi, prevede un public program e, dal 17 settembre al 31 dicembre, tre mostre: a Vernazza (Sp) sono previste «Alighiero Boetti: In situ» nella Chiesa di San Francesco e la mostra documentaria «Arte povera: La storia 1967-1971» nel Castello Doria, mentre una mostra diffusa sul territorio tra Vernazza e Corniglia (Sp) presenta 6 interventi site specific di 4 artisti italiani (Stefano Arienti, Marinella Senatore e i Vedovamazzei) che definiscono Boetti e Pistoletto i loro maestri.

È così l’occasione per ripercorrere una storia quasi dimenticata, quella dell’amicizia tra Alighiero Boetti e una figura leggendaria del piccolo borgo ligure di Vernazza, Gianni Viacava, che dagli anni Sessanta ospita turisti e locali in Piazza Marconi con il suo «Gianni Franzi», locanda storica che esiste da più di cento anni (e da sessanta è nelle sue mani): lo abbiamo incontrato cercando di ritornare con la memoria a quegli anni incredibili, circondato da opere e fotografie di ospiti e amici, da Renzo Piano e Richard Rogers a Gianni Piacentino e, ovviamente, Boetti.

Signor Gianni, com’è arrivato a Vernazza Alighiero Boetti?
Nel 1962 aveva comprato una capanna da uno che tutti chiamavano «Il Duce» (probabilmente era fascista!) e che si occupava di vendere immobili in zona, un semplice riparo costruito dagli agricoltori in località Prevo, sul sentiero tra Vernazza e Corniglia, sotto San Bernardino. 

Quando l’ha conosciuto?
Subito era quasi sparito, poi nel 1963 ha iniziato a ricostruire questa capanna che aveva le camere al piano superiore e la cucina a piano terra: quando pioveva si allagava tutta! La casa è cresciuta e cambiata poi nel tempo, anche con qualche problema legale… Proprio nel 1963, quando ha cominciato a frequentare Vernazza, ci siamo conosciuti, e lui era senza soldi, come tutti noi. Ho sempre visto un nesso tra questo paese e Kabul, l’altra sua meta prediletta in quegli anni. Anche lui, come me, aveva un hotel, solo che il suo One Hotel aveva una sola camera e un dipendente.

Com’è arrivato Boetti la prima volta alle Cinque Terre?
Il nesso con Kabul è evidente, perché era un territorio vergine dove isolarsi, dove non c’era nulla: eravamo tutti poveri, l’unica trattoria era la nostra, che io avevo appena rilevato.

Secondo lei, Boetti che cosa ha preso da Vernazza?
Noi abbiamo imparato tanto da tutti gli artisti che sono stati qui, e anche loro sicuramente hanno preso qualcosa da noi. Pensavamo e facevamo cose difficili da immaginare per chi viveva in città. Poi era un posto speciale. Perfetto per pensare, per avere idee.

Alighero Boetti nella sua casa di Prevo. Cortesia di Agata Boetti

Com’era Vernazza in quegli anni?
Ci frequentavamo con Alighiero, che allora aveva poco più di vent’anni. Con lui hanno iniziato ad arrivare artisti come Michelangelo Pistoletto, Gianni Piacentino, Salvo. Poi la torre sopra al paese venne comprata dal regista genovese Aldo Trionfo e con lui comparvero cantanti come Gino Paoli e Fabrizio De André e attori come Paolo Villaggio. Un mondo, in un paese sconosciuto che si raggiungeva solo con il treno e senza alberghi, fatto di artisti speciali. Qualcosa che credo non si ripeterà mai più. Nel 1972 Alighiero Boetti andò a vivere a Roma e diventò molto amico di Mario Schifano, figura dalla quale era molto affascinato, ma in quell’epoca iniziarono anche tanti problemi e iniziò a venire qui quasi per scappare dai suoi guai, per isolarsi, e io lo accudivo sempre.

Boetti che cosa faceva alle Cinque Terre?
Una vita spartana. Faceva il bagno, poi mi chiamava per mandarlo a prendere in barca nella spiaggia sotto Prevo, mentre di notte tornava a piedi lungo il sentiero, Era sempre da noi a mangiare al ristorante e poi avevamo anche un night club! Per alcuni anni all’interno del vecchio frantoio potevi trovare artisti e intellettuali incredibili, d’altra parte non c’era altro da fare la sera a Vernazza! Erano tutti amici, e lì andavano a divertirsi: non avevamo la licenza per vendere alcolici, ma le bottiglie spuntavano da sotto i divanetti. Poi il paese protestava, diceva che era un luogo di perdizione… ma alla fine parlavamo e ascoltavamo dischi. Fabrizio De André non suonava ancora in pubblico, l’ha fatto solo una volta qualche anno dopo per noi nella sala interna del ristorante. E non dimentichiamo che un artista come Pistoletto ha portato qui spesso il suo collettivo Lo Zoo e mi aiutava a organizzare concerti di gruppi jazz statunitensi.

Lavorava anche Boetti?
Qui pensava, era davvero concettuale. Spazio qui non ce n’è, ma era un rifugio mentale. Poi a Genova c’era la 2R di Rinaldo Rossi, uno stampatore bravissimo che lo aiutava a realizzare tante cose. E ovviamente in città ha fatto alcune mostre.

Una frequentazione che è durata per tanti anni, quindi, sia con lei sia con il paese.
Dalla moglie Anne Marie Sauzeau ha divorziato a casa mia, abbiamo condiviso davvero tanti momenti, anche drammatici. A partire dagli Settanta veniva di meno, perché era spesso in Afghanistan, almeno fino all’invasione russa, ma da Kabul e poi da Peshawar mi arrivavano degli arazzi che custodivo per lui. A casa sua qui in Liguria, in fondo, si arrivava, e si arriva ancora oggi, solo camminando lungo un sentiero! E quando aveva problemi economici, o di altra natura, veniva qui e da me trovava sempre da mangiare, e anche da dormire dopo che vendette la casa. Lo sistemavo in qualche appartamento nel paese, e lui arrivava con le sue opere e mi diceva: «Gianni, prendi che io diventerò famoso». Era il suo motto, pagava con quello che aveva. Un’amicizia che è durata tutta una vita. Veniva con me a sciare a Plose e rimaneva in camera a dormire perché non sapeva sciare. «Vengo con te, Gianni», mi diceva, sembrava volesse sempre scappare. Prima di morire è venuto a salutarmi, nel novembre 1993, dicendo: «Gianni, non ho l’Aids. È solo un cancro…». In quei tre, quattro giorni ha fatto una decina di disegni e me li ha lasciati.

Ci sono stati anche momenti difficili?
Una volta, il 24 luglio 1982, è scappato prendendo un’automobile e ha avuto un terribile incidente poco lontano da qui. È finito in una valle: caso volle che lo avesse visto il farmacista di Vernazza, che era per caso dietro la sua auto, e ha chiamato i soccorsi. Per fortuna c’era il suo assistente Salman Ali sempre presente, vicino a lui in quegli anni.

Lei era consapevole dell’importanza di Alighiero Boetti?
Certo. E mi piaceva il suo lavoro, ho fatto comprare a tanti amici dei suoi pezzi, poi in cambio dell’ospitalità ho sempre preso quello che mi offriva. Lui era un po’ speciale, anche se molto fragile.

Da sinistra, Salvo e Alighiero Boetti nella sua casa di Prevo. Cortesia di Agata Boetti

Marco Scotti, 16 settembre 2024 | © Riproduzione riservata

Boetti: «Gianni, prendi quest’opera. Diventerò famoso» | Marco Scotti

Boetti: «Gianni, prendi quest’opera. Diventerò famoso» | Marco Scotti