«Identity» (2019), «Triplice» (2011), «Idee di pietra, Olmo» (2008) e «Idee di pietra. Ciliegio» (2011) di Giuseppe Penone. Cortesia di SSABAP. Foto Fabio Caricchia

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«Identity» (2019), «Triplice» (2011), «Idee di pietra, Olmo» (2008) e «Idee di pietra. Ciliegio» (2011) di Giuseppe Penone. Cortesia di SSABAP. Foto Fabio Caricchia

Andrea Cortellessa: «Tra le opere di Penone ho visto l’apocalisse e la rinascita»

Il saggista e critico ha visitato la mostra dell’artista piemontese alle Terme di Caracalla

Madeleine, o quella che Scottie crede essere Madeleine, lo porta al Parco delle Sequoie. Eccoli dove è esposta la sezione di uno di quegli alberi secolari: un cerchio gigantesco al cui interno altri cerchi possono far pensare a un bersaglio. La mano guantata di lei percorre la superficie di quel legno vissuto migliaia di anni: sulla quale sono evidenziate alcune date della storia (come la battaglia di Hastings, 1066).

Per ingannare il detective, su quella superficie, su quello schermo, Madeleine indica il punto in cui sarebbe nata e quello in cui sarebbe morta. A Scottie viene fatto credere che è un fantasma quello che gli parla. Si chiama amore questa allucinazione, e per lei alla fine vorrà dire, davvero, la morte. È la rappresentazione più araldica della vertigine che chiamiamo «tempo», ed è la scena più memorabile di «Vertigo» di Alfred Hitchcock, da noi «La donna che visse due volte».

Nella prima parte di 474 risposte, rispondendo alle domande mai invadenti di Alain Elkann (il libro s’è stratificato tra l’agosto e l’ottobre del 2020), Giuseppe Penone ricorda fra l’altro «il periodo peggiore della sua vita», passato a Mondovì studiando ragioneria «in un collegio di preti». Tra le poche consolazioni i pomeriggi passati al cinema: fra quei film Penone ricorda quelli di Bergman, Buñuel e Hitchcock. E chissà se anche «Vertigo» appartiene a questo nocciolo d’immagini trattenute nell’adolescenza (purtroppo non sono il primo ad aver avuto questa idea: cfr. Didier Semine, Le sablier de Penone, L’Echoppe 2005).

Per dare l’idea del modo in cui «siamo strutturati dal ricordo del tempo trascorso non solo nel nostro pensiero, ma anche nel nostro corpo», nel libro viene riportato un disegno che nel ’68 prefigura lo sviluppo futuro del lavoro-matrice di tutti gli altri che lo seguiranno, «Continuerà a crescere tranne che in quel punto». Nella scultura era fusa in acciaio la mano inserita nel corpo di un giovane frassino; Penone sapeva che «poteva dare l’impressione che la mano strangolasse l’albero», ma voleva mostrare «l’azione dell’uomo sulla natura e per l’albero non era più dolorosa di una potatura».

Molto diverso il disegno: nel quale anziché «strangolarle», la mano pare accarezzare quelle pieghe del tempo come un’epidermide (difficile allontanarne la suggestione erotica). Mentre nella scultura il tempo si manifesta col continuare a crescere dell’albero attorno a quell’innesto, nel disegno è prefigurato in spirali concentriche: simili a quelle nei titoli di Hitchcock.

Che il disegno sia il medium più legato alla dimensione «vertiginosa» del tempo lo dimostrano le dieci «Propagazioni» del 2001: dal nucleo-vortice di un’impronta digitale le pieghe concentriche della pelle vengono prolungate sino a tutta la superficie del foglio. Non a caso Penone si sofferma sul progetto di raccogliere la sua opera grafica al Centre Pompidou di Parigi e al Museo di Filadelfia: quest’ultimo, mentre scrivo, annuncia una grande mostra su questo repertorio («River of Forms», a cura di Carlos Basualdo con la collaborazione di Lara Demori, fino al 24 febbraio).

Difficilmente l’ambientalismo radicale di oggi, che cerca di mettere fra parentesi la fastidiosa presenza umana e la sua storia costellata di tragedie, riuscirà ad annettersi Penone: che pure, con tutta evidenza, fra gli artisti della sua generazione è il più legato all’ambiente naturale. Perché l’impronta umana, nel suo lavoro, è inseparabile dall’universo vegetale e minerale col quale interagisce: in quanto, sciocco doverlo aggiungere, ma invece oggi pare necessario, ne fa parte.

Come Penone ci mostra che della natura fa parte l’uomo che la modifica, così dei manufatti umani ci indica l’origine, la matrice che è la natura stessa. Se il suo spirito resta insomma umanistico, le sue intuizioni possono apparire addirittura animistiche. Un’altra opera seminale, «Albero di 4 metri» (primo «albero scortecciato» esposto da Sperone nel ’69), è una trave di abete della quale Penone, lavorando «a togliere» come a suo tempo Michelangelo, ha messo a nudo «la forma dell’albero che l’aveva prodotta»: lui la definisce «un viaggio a ritroso nel tempo».

Ovvero un’archeologia. A Elkann Penone racconta delle sue ricerche di «tracce neolitiche» nei pressi della natia Garessio, nel ’72-73, quando s’imbattè in una pietra che per la tradizione popolare «reca l’impronta del piede del diavolo», restando incerto se fosse «una forma naturale o fatta dall’uomo». È verosimile che la persistenza nel futuro delle sue opere miri a un tempo in cui questo stesso dubbio si potrà nutrire anche nei loro confronti. La grandiosa installazione alle Terme di Caracalla, «Idee di pietra», è in questo senso un manifesto.

Non a caso è stata pubblicata per l’occasione una nuova edizione (dopo quella curata da Gianfranco Maraniello, per Corraini, per la personale al MAMbo nel 2008) degli Scritti dell’artista: il quale preferisce non esplicitarne l’origine e l’occasione ma che almeno, in calce, recano la data di composizione (dal ’68 ad oggi). Dice Francesco Stocchi, curatore del volume come dell’intervento a Caracalla, che «la cronologia diventa irrilevante»: ma il fatto che i testi non seguano precisamente l’ordine cronologico denuncia come questo libro, panico e cosmico Canzoniere ma insieme Storia e Cronistoria del medesimo, sia in effetti un’autobiografia (come tutti i Canzonieri, del resto).

Il format dell’albero illusionisticamente scolpito in bronzo, la cui materia è in grado di sostenere il peso di grandi pietre deposte fra i suoi rami, non è nuovo: a Roma per esempio lo si era visto nel 2017 in «Foglie di pietra» (davanti al negozio Fendi). Ma straordinaria è la forza di questi quattro esemplari (uno, «Identity», è anche d’alluminio e questo denuncia l’intervento, o se si vuole l’identità, dell’artefice) per l’interazione che osano non con la natura, stavolta, bensì con la storia: la più pesante e identitaria, imperiale addirittura: davvero aere perennius.

Sono andato loro incontro un asfissiante meriggio di giugno, col picco solare che metteva in fuga i turisti e i loro cellulari, i rami di metallo luccicanti e tenebrosi come il demone meridiano della leggenda. Solo e pensoso, in quell’immenso spiazzo di polvere e mura millenarie, contemplavo quel memento di prossima apocalisse che però splendeva pure, all’improvviso, in una luce di rinascita.

«Giuseppe Penone, Idee di pietra», a cura di Francesco Stocchi, Roma, Terme di Caracalla, 7 giugno-30 ottobre 2022.

Scritti,
a cura di Francesco Stocchi, 334 pp., Electa, Milano 2022, € 25.

474 risposte
,
con Alain Elkann, 359 pp., Bompiani, Milano 2022, €35)

«Identity» (2019), «Triplice» (2011), «Idee di pietra, Olmo» (2008) e «Idee di pietra. Ciliegio» (2011) di Giuseppe Penone. Cortesia di SSABAP. Foto Fabio Caricchia

Andrea Cortellessa, 21 ottobre 2022 | © Riproduzione riservata

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