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Funzionari egiziani e statunitensi a New York con il sarcofago dorato di Nedjemankh, uno degli oggetti coinvolti nello scandalo dei saccheggi. Reuters/Brendan McDermid

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Funzionari egiziani e statunitensi a New York con il sarcofago dorato di Nedjemankh, uno degli oggetti coinvolti nello scandalo dei saccheggi. Reuters/Brendan McDermid

Anche i musei tedeschi coinvolti nel traffico di antichità

Vincent Noce ha anche sentito l’ex direttrice del Roemer und Pelizaeus Museum Eleni Vassilika, che per la prima volta ha accettato di parlare di questa vicenda

Vincent Noce

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Alcuni musei pubblici e università tedesche sono stati coinvolti in indagini penali sul diffuso traffico di antichità mediorientali che finora hanno riguardato il sequestro di un sarcofago d’oro e di altre cinque opere dal Metropolitan Museum of Art di New York e l’incriminazione di sette mercanti d’arte, collezionisti e curatori a Parigi, tra cui Jean-Luc Martinez, ex direttore-presidente del Louvre.

Secondo fonti vicine alle indagini, sia in Francia sia in Germania, il giudice parigino Jean-Michel Gentil ha emesso mandati di arresto in Europa contro quattro mercanti con sede ad Amburgo: Roben Dib (ora detenuto a Parigi), Serop Simonian e due figli di Simonian. Si ritiene che Simonian abbia svolto un ruolo cruciale come fornitore di alcuni capolavori venduti, tra gli altri, al Metropolitan Museum e al Louvre Abu Dhabi.

«La procedura di estradizione contro Serop Simonian è ancora in corso», ha dichiarato un portavoce della procura di Amburgo. «I mandati di arresto contro i figli sono stati rifiutati perché saranno perseguiti in Germania. All’inizio si sono avvalsi della facoltà di non rispondere senza nemmeno presentarsi agli interrogatori della polizia, anche se uno di loro ha poi negato tutte le accuse attraverso un avvocato».

Nel 2020 ad Amburgo la polizia locale ha fatto irruzione sia nella Galleria Dionysos di monete antiche e antichità, sia nell’appartamento di Serop Simonian. Oggi ottantenne, costui fa parte di una famiglia armena di commercianti, originaria del Cairo, attiva da decenni in Germania. Interrogati all’epoca, sia Simonian che Dib, direttore della sua galleria, hanno affermato di essere in possesso di documenti di esportazione e spedizione dall’Egitto risalenti agli anni Settanta, periodo in cui tale commercio era legalmente consentito.

Hanno inoltre affermato che la maggior parte dei loro pezzi proveniva dai defunti fratelli di Serop, Simon e Hagop Simonian. Secondo la loro versione, Simon avrebbe acquistato lo stock di un commerciante del Cairo di nome Habib Tawadros e Hagop sarebbe stato responsabile della collezione Pasha Khashaba Bey di Assiut, venduta ed esportata nei primi anni Settanta. Entrambi hanno anche insistito sul fatto che molti dei reperti oggetto di indagine non potevano essere stati saccheggiati durante la rivoluzione egiziana del 2011, come sostenuto dai media, perché registrati molto tempo prima in collezioni e musei tedeschi.

Secondo una serie di nuove dichiarazioni raccolte quest’estate presso curatori di tutta la Germania, Serop Simonian ha effettivamente conservato per decenni le sue opere in diversi musei. Nato al Cairo nel 1942, Serop Ohan Simonian ha completato il suo dottorato di ricerca sui sarcofagi decorati nel 1973 a Gottinga, dove ha stretto legami con futuri curatori e studiosi. Eleni Vassilika, che ha diretto il Roemer und Pelizaeus Museum di Hildesheim dal 2000 al 2005, dopo aver ricoperto per dieci anni il ruolo di curatore delle antichità al Fitzwilliam Museum di Cambridge, afferma di essere rimasta «scioccata nell’apprendere che Serop Simonian teneva le sue scorte nel magazzino del museo tedesco». Per la prima volta Vassilika ha accettato di parlare di questa vicenda.

Prestiti e compensi
Eleni Vassilika si è resa conto della situazione quando le è stato presentato un documento per l’acquisto di un vaso in alabastro, un modellino di barca e un diadema, da parte di un «collezionista di Amburgo», poi identificato come Serop Simonian, per oltre 250mila euro. La studiosa racconta che, sulla base di un contratto firmato con la città tramite l’ex direttore del Roemer und Pelizaeus Museum, Arne Eggebrecht, il «collezionista» avrebbe prestato opere per le mostre itineranti del museo e, come «compenso», la città di Hildesheim ne avrebbe acquistate alcune per il suo museo.

«In una mostra allestita per tre mesi a Taiwan, il 30% degli oggetti era di proprietà di Simonian, senza però essere classificato come tale, nemmeno come prestito», racconta Vassilika. Ha scoperto che quelli proposti per la vendita al museo erano stati «pesantemente restaurati» e ha informato il consiglio di amministrazione. La transazione fu sospesa (anche se Simonian poi ottenne il pagamento in tribunale).

Donna dal carattere forte e per di più straniera, Vassilika era già in contrasto con alcuni funzionari comunali di Hildesheim e con i media locali. «Si è scatenato l’inferno, racconta, sono stata massacrata dalla stampa. Hanno fatto credere che stessi accusando il mio predecessore di aver tentato di vendere dei falsi, il che era falso». La sua valutazione è stata sostenuta dal direttore del Museo Egizio di Berlino, Dietrich Wildung, che ha dichiarato che i tre oggetti, essendo stati restaurati con elementi moderni, avevano «perso la loro autenticità».

Almeno un manufatto doveva provenire dalla collezione Khashaba, ma nella sua dichiarazione giurata, datata 29 maggio 2001, l’eminente egittologo ha sottolineato che «un modo comune per coprire gli oggetti di provenienza non chiara era quello di dire che provenivano da questa collezione». La collezione Khashaba è infatti documentata solo da un inventario parziale, redatto a macchina nel 1931 e corredato da 48 fotografie, conservato al Metropolitan di New York. Wildung ha anche affermato che i tre pezzi erano «chiaramente sopravvalutati»: sono stati venduti per 200mila euro, nonostante nel database del museo fossero valutati circa 100mila  euro e, in una stima richiesta dalla polizia investigativa, Sotheby’s li avesse considerati del valore di circa 50mila euro.

Eggebrecht dal canto suo ha risposto dicendo che gli oggetti erano stati controllati da Louise Gestermann e Ursula Rössler-Köhler dell’Università di Bonn, sulla base di fotografie e senza menzionare il restauro. Lo studioso americano Robert Bianchi ha pubblicato nel 2001 un articolo su «Antike Welt», elogiando le opere e valutando tali restauri come una pratica normale. Il «dottor Bob», questo il soprannome di Bianchi, aveva anche presentato opere di Serop Simonian in mostre da lui curate a Madrid e negli Stati Uniti per conto del Museo di Hildesheim.

Nella sua dichiarazione Wildung ha anche ritenuto «un problema il fatto che un commerciante avesse potuto mettere al riparo le sue opere per un periodo così lungo in un museo senza alcun contratto». Vassilika racconta di aver scoperto che Simonian «teneva decine di casse nel magazzino del museo, sopra un’officina di pneumatici. Non c'è stata alcuna registrazione formale dell’inventario, né è stato firmato alcun contratto con il museo o con la città. E, naturalmente, non è stato fatto alcun controllo sulla provenienza storica».

Ricorda un ippopotamo in maiolica blu, venduto nel 2015 al Louvre Abu Dhabi per quasi un milione di euro. Interrogato dalla polizia, il conservatore ha testimoniato che solo Simonian e l’ex direttore avevano accesso alle casse, spostando e catalogando gli oggetti nei fine settimana o di notte. Nel febbraio 2001 il procuratore distrettuale ha aperto un’indagine penale «per violazione della fiducia e frode» sia contro Simonian sia contro Eggebrecht.

Secondo i documenti, il 9 novembre l’investigatore capo ha riferito che «Eggebrecht potrebbe aver beneficiato di vantaggi finanziari da parte del suo amico Simonian, attraverso un conto in Svizzera», e ha chiesto un mandato per perquisire la sua casa e i suoi conti. Ma il caso fu chiuso nel dicembre 2001, quando Eggebrecht fu colpito da un cancro terminale. Nel 2002 la città e il museo chiesero a Simonian di rimuovere la sua collezione che, secondo diversi curatori, fu spedita presso altre istituzioni, a Bonn, a Treviri e, successivamente, a Mannheim.

Provenienze dubbie
Wildung racconta che «Serop Simonian ha offerto alcune opere anche al Museo Egizio di Monaco che dirigevo circa 40 anni fa. Ho interrotto ogni contatto con lui a causa della loro dubbia provenienza. E ho saputo che uno dei suoi fratelli aveva problemi con le antichità egiziane. Siamo rimasti tutti scioccati quando abbiamo saputo che la sua collezione era approdata a Mannheim».

Il Museo Reiss-Engelhorn di Mannheim ha dichiarato che «una parte della collezione Simonian è rimasta nel museo solo per un paio di mesi nel 2012 fino all’inizio del 2013, per un controllo. Serop Simonian ha offerto un contratto di esposizione a lungo termine, ma è stato rifiutato perché non ha fornito provenienze affidabili e ci sono stati persino dubbi sull’autenticità di alcuni oggetti». Michael Höveler-Müller, archeologo responsabile del progetto, si è poi dimesso. Il museo di Mannheim afferma di aver fornito l’anno scorso «tutte le informazioni e la documentazione pertinenti richieste dalla polizia criminale federale».

Parte della collezione di Simonian è andata a Bonn, dove Höveler-Müller è diventato direttore del Museo Egizio dell’Università dal 2009 al 2011. Secondo le dichiarazioni di Serop Simonian, la stele di Tutankhamon e il corredo funerario di una principessa venduti al Louvre Abu Dhabi, così come un’altra stele sequestrata a New York e restituita all’Egitto, erano stati conservati nel museo di Bonn fino al 2010, insieme ad altre 50 opere.

A Treviri, secondo diversi curatori, i contatti con Simonian iniziarono a metà degli anni Ottanta, quando Günter Grimm, direttore dell’Istituto universitario, aprì una piccola galleria con opere del periodo tardo all’interno dell’Istituto con le proprietà del mercante. Altre fonti vicine all’indagine affermano che l’Istituto di Treviri possedeva i frammenti del Libro dell’Esodo, acquistato dal Metropolitan Museum e ora sequestrato dal procuratore distrettuale di New York, e il Papiro di Artemidoro, al centro di un enorme scandalo in Italia.

Grimm ha anche firmato, insieme a Robert Bianchi, il certificato di autenticità della Testa colossale di Cleopatra venduta nel 2018 al Louvre Abu Dhabi per la cifra sbalorditiva di 35 milioni di euro. Grimm è morto nel 2012 e né Bianchi né Höveler-Müller hanno voluto commentare la vicenda.

Ad Amburgo il procuratore di Stato ha dichiarato: «Le indagini riguardanti altre persone o istituzioni non sono ancora state avviate e non sono previste al momento». Mentre lo scandalo continua a svilupparsi, gli investigatori francesi e americani si chiedono se questi enti pubblici tedeschi abbiano inconsapevolmente aiutato per decenni un mercante a conservare queste importanti opere di dubbia provenienza, facendole passare da un luogo all’altro, pur continuando a gestire la sua attività. «Se non altro, se si considerano i danni causati dal saccheggio, è un sollievo che ora si possa fare luce su un passato che è stato coperto per così tanto tempo», afferma un importante egittologo tedesco anonimo.

Il famigerato papiro
Eleni Vassilika non avrebbe mai immaginato di incrociare nuovamente la strada di Serop Simonian quando, nel 2005, fu nominata direttrice del Museo Egizio di Torino. Solo pochi mesi prima, la Fondazione per l’arte e la cultura della Compagnia di San Paolo, banca sponsor del museo, aveva acquistato il cosiddetto Papiro di Artemidoro. Attribuito al geografo Artemidoro di Efeso del I secolo a.C., il rotolo, lungo 2,5 metri, descrive in greco la penisola iberica, con una mappa incompiuta illustrata da 40 disegni di fisionomie umane e animali, reali o fantastici.

Tracce di carta
Il papiro, a quanto pare, apparteneva a Simonian, che sosteneva la provenienza dalla collezione Khashaba. La sua esistenza è stata rivelata nel 1998 in uno studio di Bärbel Kramer, professoressa di Papirologia a Treviri, dove Serop conservava parte del suo stock, e di un collega milanese, Claudio Gallazzi. Un altro studioso, Salvatore Settis, ha cercato di aiutarlo a venderlo al Getty Museum di Los Angeles nel 1999, secondo i documenti legali. Settis e Gallazzi convinsero la Compagnia di San Paolo ad acquistarlo per la cifra record di 2,75 milioni di euro. Ma quando la banca lo espose nel 2006 nel Palazzo Bricherasio di Torino, in occasione dei giochi olimpici invernali, fu denunciato come falso.

Vassilika ha resistito alle pressioni della fondazione bancaria per esporlo come prestito permanente al museo. La studiosa racconta che quando ha chiesto informazioni sulla sua provenienza, le sono state fornite dichiarazioni discordanti, secondo le quali l’opera sarebbe uscita dall’Egitto dopo la seconda guerra mondiale e nel 1971.

Nel 2009 il consiglio del museo e il suo comitato scientifico hanno «rifiutato» all’unanimità di accettare un pezzo così controverso. Per alcuni studiosi si tratta di un vero e proprio falso del XIX secolo; per altri il pezzo potrebbe essere antico ma i disegni sono palesemente moderni; altri ancora hanno sottolineato un restauro incoerente che sarebbe stato effettuato a Stoccarda. Dietrich Wildung ha allestito una mostra del papiro nel 2008 a Berlino e ci dice di credere ancora fermamente nella sua autenticità.

Nel 2016 la procura di Torino ha accusato Simonian di «truffa aggravata», ma nel 2018 il caso è stato archiviato per prescrizione.
 

Il Papiro di Artemidoro, qui in mostra a Palazzo Bricherasio a Torino nel 2006, è diffusamente ritenuto un falso. Paco Serinelli/Afp via Getty Images

Eleni Vassilika. Cortesia Eleni Vassilika

Vincent Noce, 02 settembre 2022 | © Riproduzione riservata

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