Elisabetta Matteucci
Leggi i suoi articoliDall’esperienza maturata tra gli anni Settanta e Ottanta in Saima Avandero, leader nelle spedizioni internazionali, Alvise Di Canossa fonda nel 2000 il gruppo Arterìa che in breve tempo si impone come azienda di riferimento per la logistica, l’imballaggio, il trasporto e l’installazione di opere d’arte conquistando la fiducia dei più importanti artisti, collezionisti, istituzioni museali, gallerie e case d’asta. Risale al 2009 la costituzione di Art Defender, società che si occupa di custodia, protezione, restauro e gestione delle collezioni e del patrimonio culturale italiano pubblico e privato con sedi a Milano, Torino, Bologna, Firenze e Roma. Nel 2016, dalla partnership con Axa Art, nasce Art Defender Insurance, società assicurativa specializzata in «prodotti» dedicati al mondo del collezionismo e a operatori del settore.
Alvise Di Canossa, come nasce la sua passione per l’arte? Lei è laureato in agraria, un obbligo per il figlio di un gentilhomme campagnard, a capo di imprese agricole e ortofrutticole tra Verona, Bologna e Ferrara, ed è noto che lei ha compiuto la gavetta nel mondo dei trasporti ma che è sempre stato irresistibilmente attratto dal mondo dell’arte.
Ricordo fin dall’infanzia quanto l’arte in generale abbia rappresentato un argomento di quotidiana conversazione. All’epoca l’interesse era concentrato, sia per le quadrerie, sia per gli arredi, sulla cosiddetta Alta Epoca. In questo senso, la vocazione al collezionismo è per me un fatto «congenito». Dunque, continuare a perseguirla e ad alimentarla è stato naturale.
Nel suo ambito professionale ha l’opportunità di avvicinare veri e propri capolavori, ma nella sua sfera privata quale ruolo riserva all’arte?
Ritengo che potersi circondare di beni d’arte, seguendo le proprie idee, ascoltando chi ne conosce origini e storia, volendo a poco a poco costruirsi un proprio mondo, sia per molti una meravigliosa missione che in fondo non finisce mai. Nella propria casa ciascun collezionista spera di realizzare qualcosa che possa rendere orgogliosi anche chi poi lo seguirà.
La sua vocazione al collezionismo si è orientata verso un periodo preciso, su artisti protagonisti di una corrente, o si è declinata in scelte di carattere eterogenee dettate da predilezioni legate a un momento?
Già da bambino ricordo come le opere dell’Otto e Novecento presenti nella nostra casa fossero quelle che incontravano in misura maggiore il mio apprezzamento. Le ho sempre percepite come le più vicine, le più rispondenti al mio gusto: dipinti che raffigurano brani di vita scanditi dall’alternarsi delle stagioni, lontani dalla frenesia, dai ritmi sincopati delle nostre giornate. Riuscire a catturare la luce naturale vissuta en plein air, restituire un’atmosfera intesa come specchio fedele di uno stato d’animo, è l’oggetto dell’espressione artistica dei Macchiaioli e dei cosiddetti Italiens de Paris: Boldini, De Nittis e Zandomeneghi. All’indomani della seconda guerra mondiale la vita era molto diversa da oggi, più semplice e attenta alle piccole cose e anche più costruttiva! La mia predilezione per la pittura del XIX secolo nasce dunque da ragioni affettive. Sono intimamente legato a quel periodo. Inoltre, un amico gallerista mi ha guidato e aiutato nelle scelte.
Condivide le sue scelte con i suoi familiari o preferisce decidere in autonomia?
Condividere un progetto con la propria famiglia al fine di valutarne la fattibilità, discuterne l’efficacia e decidere collegialmente se portarlo avanti o rinunciarvi è sempre stato per me un obbligo morale, nella vita professionale e a maggior ragione nell’intraprendere la costruzione di un percorso così affascinante quale è la nascita di una collezione. Ritengo fondamentale elaborare, affinare e plasmare le proprie scelte con chi ti è a fianco, anche perché in fondo l’ambizione di ogni collezionista è la continuità.
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