Torey Akers
Leggi i suoi articoliLa terza edizione della fiera Intersect Aspen, dal primo al 4 agosto, si è svolta nuovamente all’Aspen Ice Garden, una pista di pattinaggio che durante i miti mesi estivi della località sciistica si trasforma in un vivace centro ricreativo (la fiera che l’ha preceduta, Art Aspen, era stata lanciata nel 2010.) La kermesse coincide con l’Aspen Art Week, un programma di spettacoli, dibattiti e mostre guidato dall’Aspen Art Museum, inclusa la sua annuale asta di beneficenza ArtCrush (4 agosto), un evento molto atteso dai collezionisti locali. In quanto unica fiera di belle arti e design di Aspen, Intersect si è concentrata sulla connettività della comunità e su nuove «voci fresche», mettendo in primo piano il formalismo con elementi audaci, luminosi e tattili.
Quest’anno la fiera ha presentato 31 gallerie provenienti da 27 città, dieci delle quali esponevano alla fiera per la prima volta. Oltre a una serie di eventi per VIP e titolari di pass giornalieri, Intersect ha introdotto una nuova iniziativa curatoriale, il segmento dei progetti speciali, che ha presentato tre interventi artistici creati appositamente. Questi progetti erano tra le opere più esplicitamente politiche in mostra a Intersect e includevano «Micro Mansion», un’installazione dell’artista locale Chris Erickson che affronta la crisi abitativa nella circostante Roaring Fork Valley e un’opera scultorea sospesa dell’artista Aljoscha inerente la guerra russo-ucraina. L’apertura della fiera tra gli affascinanti panorami montani di Aspen ha portato con sé un’enfasi concertata sulla trasformazione dei materiali. Intersect, come suggerisce il nome, ha infatti messo in luce la sovrapposizione tra belle arti e design, fornendo un palcoscenico perfetto per colori saturi, dipinti decorativi e opere scultoree di medie dimensioni ricche di tecnicità materica.
Nello stand della galleria di New York Hesse Flatow, «Señal» (2022), un pezzo semplice e maestoso dell’artista di Brooklyn Amanda Martínez, rappresentava questo investimento equo negli aspetti procedurali del fare arte. «Scolpisce la schiuma industriale in pezzi e poi li fa aderire insieme: è tutto a mano, ma sono così precisi che sembrano quasi tagliati al laser», ha affermato la gallerista Rana Saner. «Questa tavolozza di colori di argilla e adobo parla davvero della sua eredità messicana». L’opera incorporava anche smalto, gomma di pneumatici sminuzzata e stucco pigmentato, strati di fabbricazione che conferiscono una ricchezza mistica alla sua precisione compositiva.
Marc Straus Gallery, altro pilastro di New York, ha esposto un’eccezionale selezione di rilievi ad olio iperrealistici di tappeti ornamentali di Antonio Santín. «Ogni pezzo richiede circa otto mesi», ha affermato la direttrice della galleria Aniko Erdosi, aggiungendo, «ma quegli otto mesi sono il risultato di dieci anni di perfezionamento della sua tecnica». A pochi metri di distanza erano appesi alcuni piccoli ma dinamici pezzi in fibra (prezzi nel range dei 4.200 dollari) dell’indo-americana Natasha Das; l’artista utilizza l’ago come pennellate astratte, creando profondità spaziale attraverso un gesto palpabile. «È davvero una brava colorista, dipinge essenzialmente con le fibre», ha detto Erdosi. «Questi pezzi hanno immediatezza e al contempo giocosità».
Questa insistenza sulla specificità era evidente nello stand della Fredric Snitzer Gallery di Miami, che ha ospitato un sorprendente schizzo grafico su carta Amate del pittore cubano José Bedia. «Wayom Lemond» (2023), con un prezzo nella fascia dei 20mila dollari, fa riferimento a The Kingdom of This World (1949), il romanzo storico sull’indipendenza haitiana dell’autore cubano-francese Alejo Carpentier. Il pezzo reinventa la lotta rivoluzionaria del leader della ribellione François Mackandal come una topografia fantasmagorica di disordini culturali. La carta Amate, una tradizionale carta messicana fatta a mano con alberi di Amate e Gelso, fu bandita durante la conquista spagnola a causa della sua associazione con la magia e la stregoneria, poiché gli invasori cercavano di convertire le popolazioni indigene al cattolicesimo. «Amo particolarmente questo lavoro perché ci sono così tanti dettagli e così tanti elementi diversi», ha affermato il direttore della galleria Josha Veasey. «Ogni volta che lo guardi, vedi qualcosa che non avevi visto prima».
Infine, lo stand della Hexton Gallery di Aspen comprendeva due dipinti dell’artista nomade Rachel Garrard, le cui astrazioni meditative fondono la meraviglia del mondo naturale con un approccio deciso alla composizione. Le sue sfumature sognanti sono composte da pigmenti frantumati a mano e raccolti nel suo ambiente, come quarzo, cenere o polvere di roccia. «Rachel si occupa davvero di radicarci, ed è fatto in modo spirituale e fisico», ha affermato il direttore della galleria Robert Chase. «Dipinge in aree a cui si sente veramente connessa, come Tulum che per lei è importante, e crea immagini simboliche che ci fanno pensare a chi siamo e da dove veniamo».
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