Gianfranco Fina
Leggi i suoi articoliAlla mostra in corso alla Reggia della Venaria («Capodimonte da Reggia a Museo. Cinque secoli di capolavori da Masaccio a Andy Warhol», fino al 15 settembre) che presenta una sessantina di opere di altissima qualità provenienti dal museo di Capodimonte (Masaccio, Caravaggio, Guido Reni, Tiziano ecc.) è presente un capolavoro assoluto dell’arte rinascimentale che, purtroppo non gode, da parte del pubblico, della stessa attenzione che invece viene posta ai dipinti in esposizione. Il riferimento è alla «Cassetta Farnese» capolavoro dell’oreficeria della metà del Cinquecento, perfettamente restaurata, esposta e illuminata che troneggia al centro di una grande stanza, alle cui pareti sono stati posti due dipinti dei El Greco e la meravigliosa «Danae» di Tiziano.
Ho sostato a lungo di fronte a questo superbo scrigno, che ho rivisto dopo lo straordinario restauro, potendone ammirare, grazie a un sapiente gioco di vetri e specchi, tutti i dettagli più nascosti, come l’interno, la parte inferiore e il coperchio. Mentre lo guardavo e lentamente gli giravo attorno, dopo qualche minuto mi sono accorto di essere l’unico visitatore interessato alla «cassetta», così le ho girato le spalle per osservare il pubblico che lentamente affluiva nella sala. Non certamente una folla, ma un flusso continuo di persone che seguivano regolarmente il perimetro della stanza, gli occhi alle pareti, leggendo le didascalie, commentando i dipinti, facendosi gli immancabili «selfie» a imperitura memoria della visita, ma che non rivolgeva lo sguardo verso il centro della sala dove stava l’opera.
Mi sono chiesto se fosse un problema di percorso o di disinteresse. Probabilmente se al posto della cassetta ci fosse stato un dipinto il pubblico l’avrebbe notato e avrebbe quindi modificato il cammino dalla parete al centro della sala; è probabile che la presenza di una struttura illuminata con dentro un «non dipinto» non stimoli abbastanza la curiosità di chi ha peraltro pagato 20 euro per la visita. Forse il vero problema è un altro: per il variopinto pubblico di oggi l’arte che vale è solo quella figurativa, in particolare quella che sta «appesa» e gli artisti da ammirare sono solo quelli il cui nome è famigliare per averne sentito parlare qualche volta.
Tutte le altre manifestazioni artistiche dell’ingegno umano quali l’ebanisteria, l’intaglio, l’intarsio, la glittica, l'oreficeria, la toreutica, l’arte ceramica, la miniatura, la ialurgia (arte della fabbricazione del vetro), gli smalti, il conio di monete e medaglie, la tessitura e il ricamo, vengono normalmente evitate, non considerate e neppure inserite nelle varie mostre ed esposizioni. Eppure sappiamo che ognuna di queste espressioni ha prodotto capolavori e maestri la cui qualità e valore era, fino a non molti anni fa, riconosciuta e ricercata da tutti gli appassionati dell’arte antica e non solo dagli addetti ai lavori.
Una domanda: bisogna proporre solo le mostre «facili» o sarebbe invece opportuno proporre e sostenere anche delle manifestazioni meno accattivanti, ma che possono istruire il pubblico su argomenti altrettanto affascinanti che una tela dipinta?
La cassetta Farnese
Completamente in argento dorato, è opera di Manno di Bastiano Sbarri (Firenze, 1536 – 1576), eseguita attorno tra il 1548 ed il 1561, commissionata dal Gran Cardinale Alessandro Farnese come dono per le nozze del nipote, suo omonimo (celebrate a Bruxelles nel 1565 presso la corte di Filippo II) con la principessa Maria d’Aviz di Portogallo. La cassetta è frutto della collaborazione dei più grandi artisti attivi nella Roma nel quinto decennio del Cinquecento; probabilmente il progetto dell’insieme si deve al pittore Francesco Salviati, amico e collaboratore di Sbarri in altre opere documentate, liberamente ispirato alle tombe medicee di Michelangelo; é certo che Perin del Vaga, che negli stessi anni guidava l’équipe di decoratori attiva nelle sale dell’appartamento di papa Paolo III Farnese in Castel Sant’Angelo, propose per i disegni di alcune scene mitologiche, intagliate poi da Giovanni Bernardi sulle placche ovali di cristallo di rocca inserite nelle pareti.
Lo Sbarri fu allievo, amico e collaboratore di Benvenuto Cellini, e la cassetta Farnese già all’epoca era considerata l’unico oggetto di oreficeria degno di reggere il confronto con la mitica saliera d’oro. Una curiosità: non si conosce l’uso preciso per cui la cassetta è stata costruita; oggi si tende al escludere fosse un contenitore di gioielli per l’assoluta mancanza di imbottiture interne, ma piuttosto uno straordinario astuccio per contenere un libro prezioso quale poteva essere il Libro d’Ore Farnese, miniato da Giulio Clovio nel 1546 e ora conservato al Morgan Library & Museum di New York.
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