Pittore, architetto, musico, autore di scenografie e di decorazioni, Girolamo Genga (Urbino, 1476-1551) è un artista oggi poco noto al grande pubblico, che in vita godette però dell’ammirazione di Sebastiano Serlio e di Pietro Aretino, oltre che della stima di Giorgio Vasari, che nelle Vite parla di un suo passaggio (non documentabile) nella bottega di Perugino e poi di un apprendistato presso Luca Signorelli, con cui invece sappiamo che lavorò lungamente. Genga passò anche per Firenze, com’è provato tanto dalla firma «Gironimo da Urbino pictore in fiorenza» da lui apposta al capitolato per la sua opera più ambiziosa (la pala monumentale commissionatagli nel 1513 per l’altare maggiore della Chiesa di Sant’Agostino a Cesena), quanto dalla conoscenza aggiornata della pittura fiorentina del tempo, seppure declinata in un linguaggio intensamente anticlassico che manifesta proprio in questa pala.
Giunta nella Pinacoteca di Brera nel 1809 in seguito alle soppressioni napoleoniche, la «Pala di Cesena» è stata oggetto per tre anni di un impegnativo restauro (reso possibile da Andreotti & Brusone Philantropy Fund) progettato e realizzato, sotto gli occhi dei visitatori, dal Laboratorio della Pinacoteca stessa (Andrea Carini, Paola Borghese, Sofia Incarbone, Ilaria Negri, con Cristina Quattrini), e da Roberto Buda per il supporto ligneo. Alla base, numerose indagini diagnostiche condotte, oltre che dal Laboratorio stesso, da un pool di istituti con cui la Pinacoteca di Brera collabora da tempo, come il laboratorio Diart del Dipartimento di Fisica dell’Università degli Studi di Milano e i dipartimenti di Fisica e Scienza dei Materiali dell’Università di Milano, Cnr-Ibfm di Segrate e Csg Palladio di Vicenza.
L’intervento, reso anche più complesso dalle dimensioni imponenti della pala, è documentato nel volume Girolamo Genga. La pala di Cesena e il suo restauro alla Pinacoteca di Brera (Marsilio) a cura di Andrea Carini e Cristina Quattrini, in cui si svelano le numerose novità emerse dal restauro che, oltre a restituire alla tavola la sua cromia smagliante e i preziosi dettagli sinora nascosti dalle vernici ingiallite, e a rivelare l’uso di un precisissimo cartone preparatorio trasferito sulla tavola con la tecnica tradizionale dello spolvero, ha permesso a Corinna Gallori di individuare il soggetto, lungamente dibattuto, di questa Sacra conversazione.
Non più la «Disputa sull’Immacolata Concezione», bensì la «Disputa sull’Incarnazione»: se il tema del concepimento della Vergine come unica creatura libera dal peccato originale era caro ai Francescani, per gli Agostiniani (i committenti della pala), che erano dediti a un culto eminentemente mariano, appare infatti ben più pertinente quello del concepimento di Cristo nel grembo della Vergine Maria sin dal momento dell’Annunciazione.
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