Stefano Causa
Leggi i suoi articoliDall’ultima fatica di Vittorio Zagari, inarrivabile conoscitore di oreficeria, armi borboniche e tanto altro che abbia a che fare con ciò che, oltralpe, definiscono «Kleinkunst», si riemerge sorpresi e grati. Sorpresi: perché sfidiamo chiunque a raccontare in 100 pagine l’evoluzione dell’oreficeria a Napoli dagli angioini al secondo Settecento. Grati: perché ogni tanto fa bene, e farebbe meglio più spesso, non perdere di vista che la civiltà meridionale non è solo Caravaggio e compagnia di giro seicentesca dal Naturalismo al Barocco.
Cinque secoli snudati da un osservatorio liminare solo per chi non abbia in mente quel vertice del Gotico francese fuori di Francia costituito dal busto di san Gennaro o non immagini quale tripudio di ori e gemme si scatenasse, in antico, dal «San Ludovico da Tolosa» di Simone Martini, oggi a Capodimonte. «I prodotti dell’arte preziosa non erano considerati articoli di lusso; erano anzi una parte fondamentale dell’immagine che il sovrano dava di sé», ricorda l’autore. E il volumetto sale di quota quando, dall’analisi dei pezzi vien fuori, in controluce, un volenteroso sforzo di storia sociale dell’arte a Napoli.
Classe 1947, Vittorio Zagari, cresciuto e formatosi in un quartiere trasudante storia, a ridosso del mare (Il Borgo Orefici, appunto), aggira ogni trappola di filologismo peloso. E la passione che informa le pagine è contagiosa. Parliamo di uno studioso colto e curioso con cui, a Napoli, si farebbe volentieri un giro non scontato a Capodimonte, in Floridiana o al Museo Filangieri; prima di andare a cena. Possibilmente in sua compagnia.
Arte orafa dal Gotico al Neoclassico
a cura di Vittorio Zagari, 104 pp., ill., Rogiosi, Napoli 2024, € 15
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