Gareth Harris
Leggi i suoi articoliLa spinta a promuovere le credenziali culturali dell’Arabia Saudita continua con la seconda edizione della Biennale d’arte contemporanea di Diriyah, organizzata dal 20 febbraio al 24 maggio con la direzione artistica della curatrice di origine tedesca Ute Meta Bauer (Stoccarda, 1958). La Biennale, che si snoda attraverso sette sale e numerosi cortili e terrazze nel quartiere Jax di Diriyah, città a una ventina di km dalla capitale Riad e sede del sito di At-Turaif, patrimonio mondiale dell’Unesco, s’intitola «After Rain» e vede la partecipazione di una novantina di artisti provenienti da oltre 40 Paesi, tra cui una trentina dalla regione del Golfo. Tra gli artisti sauditi figurano Asma Bahmim e Abdulrahman Al-Soliman, mentre tra i nomi «stranieri» partecipanti ci sono Rossella Biscotti, El Anatsui, Tomás Saraceno e Małgorzata Mirga-Tas. «Se si vive in un’oasi o nel deserto, quando piove, l’impatto è immediato perché la natura è subito pronta a ricevere ogni goccia d’acqua. È un momento di nutrimento e per me è anche un momento di speranza», ha dichiarato Bauer.
Per la Biennale sono state commissionate diverse nuove opere, tra cui un lavoro congiunto del saudita Ahmed Mater e del fotografo milanese Armin Linke, che hanno collaborato a un progetto che documenta il «futurismo saudita» dagli anni Quaranta. «Nel momento in cui è stato trovato il petrolio (la risorsa è stata scoperta in Arabia Saudita nel 1938, Ndr), Riad si è improvvisamente espansa», ha aggiunto Bauer, specificando che entrambi gli artisti hanno condotto ricerche negli archivi del mega conglomerato petrolifero Aramco. «Aramco è diventato molto presto un motore della cultura ed è sempre molto interessante guardare queste realtà attraverso la lente degli artisti. È inoltre significativo che Ahmed Mater venga dall’interno del Paese e Armin dall’esterno. Ci sono diversi casi di collaborazioni simili, tra artisti sauditi e altri provenienti da altri Paesi; sarà interessante vedere gli esiti delle loro collaborazioni».
L’artista saudita Mohammad AlFaraj presenterà una nuova opera che incorpora palme e suoni, riflettendo sul paesaggio di casa sua, Al Ahsa, una delle più grandi oasi del mondo, nella provincia orientale dell’Arabia Saudita. La trentenne yemenita Sara Abdu ha realizzato una serie di torri costruite con saponette prodotte artigianalmente, che rispecchiano i rituali di pulizia della regione, mentre durante il mese sacro del Ramadan alla base dell’evento saranno gli incontri comunitari, con un bar di succhi e tè allestito dal gruppo Njokobok (Youssou Diop e Apolonija Šušteršič). Gli artisti Lucy + Jorge Orta inviteranno inoltre il pubblico a mangiare e bere insieme nei vicoli del quartiere Jax, vicino alla sede della Biennale. Gli spazi esterni del quartiere Jax saranno animati da nuove installazioni: Azra Akšamija, di origine bosniaca, ha creato una tettoia di 70 metri di feltro riciclato ispirata ai tessuti sauditi e alle tecniche tradizionali di tessitura di Al Sadu, mentre Anne Holtrop ha realizzato una struttura ombreggiante in lastre di vetro riciclate prodotte dai vetrai locali, che costituiscono una parte importante dell’industria pesante del Paese.
Al centro del programma della Biennale ci sono anche questioni ambientali: «Anche qui in Medio Oriente si è verificato uno spostamento dalle politiche identitarie alle urgenze ambientali, il che è molto interessante. Ovviamente non si possono separare le urgenze climatiche dalla geopolitica», prosegue Ute Meta Bauer, che ha coinvolto anche artisti più anziani: Abdulrahman Al-Soliman ha 69 anni, il sudanese Ibrahim El-Salahi ne ha 93 e l’artista palestinese Samia Zaru è nata nel 1938. Alla domanda sui precedenti dell’Arabia Saudita in materia di diritti umani, la curatrice risponde: «Naturalmente sono consapevole del problema, ma vedo che lo stesso accade letteralmente ovunque. È molto importante vedere però che il Paese si sta aprendo e capire davvero dove stia andando. Ci si può chiedere se è solo un’apertura economica, ma credo che la collaborazione tra artisti sauditi e non possa contribuire a una comprensione più complessa del Paese. Quello che vedo è che sembra diverso dall’immagine che avevo dall’esterno».
Oltre a Ute Meta Bauer, il team curatoriale della Biennale d’arte contemporanea di Diriyah 2024 è composto dai cocuratori Wejdan Reda (Gedda, Arabia Saudita, 1992), Anca Rujoiu (Bucarest, Romania, 1984) e Rose Lejeune (Cheltenham, Regno Unito, 1980), e dal curatore aggiunto Rahul Gudipudi (Jodhpur, India, 1987). In particolare, Anca Rujoiu si è occupata di Biennale Encounters, una serie di eventi annuali tra conferenze, talk, workshop, passeggiate collettive e lecture che a partire dallo scorso aprile hanno costituito una componente importante di questa edizione, creando una comunità intorno a questa giovane Biennale. Dopo l’effettiva apertura della mostra, Biennale Encounters verrà approfondito e ampliato da un programma di performance ideato dalla cocuratrice Lejeune, che scandisce la cadenza della Biennale con eventi che vanno da sessioni musicali a performance che attingono alla storia del teatro e della danza e includono contributi di una giovane generazione di artisti sauditi e del Golfo. Learning Garden, curato da Rahul Gudipudi, è invece uno spazio online concepito come un’emanazione e una «rielaborazione» dei temi esplorati dagli artisti della Biennale.
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